Il Coordinatore Nazionale del PRI Saverio Collura 1 Relazione al 47° Congresso Nazionale del PRI P A R T I T O R E P U B B L I C A N O I T A L I A N O Direzione Nazionale - Via Euclide Turba n.38 - 00195 ROMA segreterianazionale@pri.it - info@pri.it - www.pri.it "Nessuna persona senza la dignità del lavoro" Relazione politica del Coordinatore Nazionale Saverio Collura per il XLVII Congresso Nazionale del PRI 28 novembre 2014 Il Coordinatore Nazionale del PRI Saverio Collura 2 Relazione al 47° Congresso Nazionale del PRI Il congresso nazionale di un partito democratico è un appuntamento ricorrente, consueto, naturale. Esso è l'occasione nella quale gli aderenti ad un ideale culturale, politico e sociologico (il partito) si incontrano per fare il bilancio dell'attività svolta, per riflettere sulle problematiche e sulle difficoltà che si frappongono all'efficace e proficuo svolgimento della vita associativa; e quindi "progettare" il futuro dell'impegno, dell'azione, della vita dell'associazione alla quale liberamente e convintamente hanno aderito, e nella quale intendono continuare ad impegnarsi. Per il Pri, e quindi per i repubblicani, si aggiunge un'ulteriore specifica motivazione, che trae origine dalla sua genesi e dalla sua storia: l'analisi e la riflessione sullo Stato e sulle sue istituzioni, sulla libertà e la dignità della Persona. Credo che tutto ciò possa essere efficacemente riassunto e riepilogato nello slogan che suggerisco per il nostro prossimo 47º congresso nazionale: "costruiamo lo Stato repubblicano, perché nessuna persona soffra più nella sua dignità la mancanza del lavoro". Con ciò non intendiamo prospettare un'inutile e anacronistico paternalismo, vogliamo invece dar vita al nuovo risorgimento italiano; affinché le istituzioni e la società civile sappiano ritrovare l'orgoglio, gli stimoli, le ambizioni proprie della storia e delle prospettive del nostro paese. Certo se ci soffermiamo (come certamente dobbiamo fare e come faremo) a riflettere sulle difficoltà attuali dell'Italia e del Pri potremmo essere colti da serio sconforto e pessimismo, perché entrambe le questioni sono le due facce della identica problematicità. Se non avessimo il fermo sostegno dell'identità, delle idealità e della peculiarità della storia del movimento repubblicano, forse potremmo essere portati a gettare la spugna; ma così non è, perché le prospettive dell'Italia necessitano dell'azione politica del repubblicanesimo. Nel futuro del paese noi vogliamo che sia incisiva e vitale l'azione del movimento repubblicano, e riteniamo nostro dovere trasmettere integro e vivo il patrimonio politico che le generazioni passate hanno fatto pervenire a noi. Ecco perché è importante, oserei dire determinante, il nostro prossimo congresso nazionale. Dobbiamo, quindi, in vista del nostro prossimo incontro, del nostro confronto e del nostro dibattito sviluppare un'efficace analisi sulle problematiche e sulle difficoltà dell'Italia e del partito; farne scaturire un progetto ricco di contenuti, di soluzioni e di obiettivi: dobbiamo saper essere ambiziosi per poter essere di stimolo verso un'opinione pubblica stanca, disillusa, demotivata, frustrata. Dobbiamo sapere elaborare ed indicare "l'Altra Politica". Il Coordinatore Nazionale del PRI Saverio Collura 3 Relazione al 47° Congresso Nazionale del PRI Il nostro ottimismo sulla riuscita dell'impresa poggia su basi, considerazioni e riflessioni concrete: il nostro DNA politico-culturale; le elaborazioni già delineate nelle tesi congressuali; il contributo programmatico per la costituente liberaldemocratica approvato dal consiglio nazionale svoltosi a Roma il 30 novembre e il 1 dicembre del 2012 (http://www.partitorepubblicanoitaliano.it/new/47CongressoPRI/ContributoConsiglioNazionale.pdf); la relazione dal titolo "Il Congresso, un Progetto: il Partito l'Italia" (http://www.partitorepubblicanoitaliano.it/new/47CongressoPRI/CongressoProgettoPartitoItalia.pdf) presentato al consiglio nazionale del settembre 2013, allorché sembrava che entro quell'anno avrebbe potuto svolgersi il congresso nazionale. Di questi due ultimi contributi potremmo fornire il link per accedere ai relativi testi scritti anche attraverso i forum repubblicani in rete. Esse rappresentano le basi sulle quali viene sviluppata questa relazione politica. Aggiungo, ancora, che parte integrante (quindi un "unicum" logico-politico") di questa relazione sono da ritenere le due ulteriori elaborazioni con le quali intendiamo riprendere le riflessioni su:- l'euro, le sue potenzialità politiche, le sue prospettive; ed ancora -il piano delle riforme strutturali come necessità ineludibile per costruire il futuro economico, sociale ed occupazionale in Italia. Quant'è lontana l'Italia che vogliamo, rispetto al paese che stiamo vivendo? Se potessimo misurare questa distanza, si evidenzierebbe subito l'enormità del gap da colmare. Gli ultimi dati ufficiali forniti dalla Banca d'Italia e dall'Istat fotografano in modo crudo, impietoso la catastrofe nella quale è stata portata la nostra nazione dopo 20 anni di non governo, di malgoverno. Con il terzo trimestre, nel quale si registra ancora un Pil in decrescita (-0,1%) in termini congiunturali e tendenziali, sono ben 13 i trimestri consecutivi senza crescita del Pil nazionale. Il debito pubblico ha raggiunto la cifra abnorme di 2.134 miliardi di euro. E tutto ciò mentre la Francia, la Germania e la Spagna realizzano performance positive in termini di aumento della ricchezza. L'Italia (insieme a Cipro), quindi, resta l'unico paese dell'Europa ad avere una siffatta negativa situazione; che si prospetta anche per il 2015 in termini non certo incoraggianti. Mentre nel quarto trimestre 2013 e nel primo trimestre 2014 si era registrata una invarianza (0,0%), sono stati i due successivi trimestri a certificare il riproporsi della recessione. E l'andamento della domanda interna continua ad essere ancora negativo, mentre le esportazioni registrano un incremento, certo non tale da bilanciare la crisi della domanda interna. Eppure il governo persiste nel ritenere, o almeno così sembra voler sostenere, che il problema sia europeo; così ingenerando il sospetto nei partners europei e nei mercati finanziari che la nostra classe politica non sembra aver ancora maturato la corretta diagnosi circa la specificità delle problematiche nazionali. Nei repubblicani, viceversa, questo convincimento è maturato da tempo; già nel 2010 (tesi congressuali sulla competitività) scrivevamo: "l'Italia, per le sue debolezze strutturali, sarà sempre la prima a conoscere gli effetti negativi delle crisi internazionali, e sarà sempre l'ultima a ritrovare le condizioni interne per la ripresa e la crescita del proprio sistema economico". Non eravamo Il Coordinatore Nazionale del PRI Saverio Collura 4 Relazione al 47° Congresso Nazionale del PRI nè gufi, né profeti di sventura; semplicemente avevamo fatto tesoro di tutti i contributi culturali (nazionali ed europei): abbiamo cercato di comprendere e di analizzare le peculiarità negative e le criticità del nostro paese. Purtroppo così sta avvenendo. Ma noi dobbiamo auspicare che le azioni intraprese dal governo abbiano successo, e quindi sia possibile, come sembra ipotizzare il premier, realizzare con l'approvazione della legge di stabilità e del Jobs - Act le condizioni per far uscire l'Italia da questa preoccupante situazione di "ultima della classe". Ma sarà poi veramente così? Allora se il problema dell'Italia passa necessariamente attraverso una presa di coscienza ed un'azione conseguente della politica nazionale, è sicuramente certo che le soluzioni che dovranno essere intraprese saranno più efficaci, più incisive se definite nel contesto di un'integrazione politica, sociale, economica e monetaria continentale. Abbiamo più e più volte concentrato la nostra attenzione, come partito politico nazionale, sull'analisi della profonda crisi economica che attanaglia il paese: abbiamo visto per tempo i nefasti effetti che derivavano all'Italia da una politica inefficace, che non riusciva a cogliere le conseguenze di una continua espansione della spesa pubblica improduttiva, di una costante perdita di competitività del sistema Italia, delle esplosioni insostenibile del debito pubblico, del degrado istituzionale a tutti i livelli, dell'assoluta inadeguatezza nel "leggere" ed interpretare le problematiche connesse ad un sistema sociale e culturale che penalizzava gli investimenti in ricerca e sviluppo, in istruzione, nella tutela del territorio, nella garanzia e nella certezza legislativa e giudiziaria. L'Italia di oggi è figlia di queste e di altre insufficienze, della miopia dei comportamenti della sua classe dirigenziale. In sostanza, torna di attualità la polemica repubblicana sugli effetti nefasti del "non governo del paese". Come già detto, pur riaffermando l'auspicio circa l'efficacia dell'azione del premier, appare sempre più problematica la prospettiva che le due iniziative avviate dal governo (la legge di stabilità ed il Jobs - Act) possono rappresentare la chiave di volta della crisi italiana. Le nostre perplessità e riserve nei confronti della legge di stabilità sono articolate, complesse e numerosi; sono d'altra parte coerenti e conseguenti con tutta la nostra impostazione di politica economica e finanziaria. Abbiamo più volte affermato che ritenevamo molto vicina al nostro pensiero l'analisi sui problemi del paese che andava svolgendo il presidente del consiglio nei primi mesi di vita del suo esecutivo. Ma nel contempo auspicavamo che l'azione del governo fosse conseguente ed in sintonia con l'analisi. Ci sembra che ciò stia avvenendo sempre meno, e non possiamo non riprendere, facendolo nostro, il giudizio espresso dai professori Alesina e Giavazzi sul documento di bilancio del governo: "insomma una legge partita con buone intenzioni si è trasformata (senza ancora aver vissuto tutta la fase parlamentare, aggiungo io) in una manovra irrilevante per la crescita". Anche per il Jobs - Act, pur auspicando una sollecita approvazione parlamentare, non possiamo non evidenziare che gli effetti attesi o sperati dal governo in termini di maggiore occupazione, almeno Il Coordinatore Nazionale del PRI Saverio Collura 5 Relazione al 47° Congresso Nazionale del PRI per il prossimo biennio dopo la conclusione del suo iter legislativo, non troveranno riscontro nella realtà dei fatti. In sostanza, stante il quadro legislativo definito dal governo, non sono prevedibili eventi tali da imprimere una significativa positiva evoluzione al quadro economico - sociale del paese. Non si evidenziano le condizioni di fondo per poter ipotizzare una prospettiva positiva per la crescita, lo sviluppo e l'aumento occupazionale. Tutti i mali strutturali del paese restano irrisolti: debito pubblico senza concreta prospettiva di diminuzione; consumi interni sempre stagnanti (se non ancora in regressione); disoccupazione giovanile e femminile sempre più drammatica; divario Nord-sud sempre più accentuato; investimenti in ricerca e innovazione ancora del tutto inadeguate qualitativamente, ed insufficienti quantitativamente; pressione fiscale sempre più opprimente (43,2% nel 2014, e 43,1% nel 2015). In sostanza sembrano chiari gli indizi di un aumento della difficoltà del governo; elemento questo che sembra contraddire le motivazioni che hanno portato il PD, con un'azione inconsueta, a deliberare la sfiducia ad un capo di governo, importante dirigente politico dello stesso partito, per sostituirlo con il segretario nazionale, peraltro appena eletto, con la motivazione di voler imprimere una significativa accelerazione al processo di risanamento e rilancio del paese. Ironia della sorte si sta verificando, come già ricordato in precedenza, che mentre i due ultimi trimestri di governo Letta (del quale di sicuro non abbiamo particolare nostalgia) hanno registrato una mancata crescita, ma non una regressione del Pil, nei due trimestri (II e III 2014) si è registrato un trend negativo, rispettivamente di -0,2% e -0,1%. E pensare che proprio qualche mese addietro il premier pensava di scorgere un tenue bagliore in fondo al tunnel della crisi italiana. Siamo invece ancora nel mezzo del guado. E ciò nonostante sia stata assunto qualche provvedimento discretamente ampio in favore di una parte degli occupati a tempo indeterminato del settore produttivo privato. Stiamo parlando dell'aumento di € 80 mensili, che uno studioso ha sarcasticamente commentato dicendo "non so se ha prodotto più effetti economici, o più effetti elettorali". Ma quello che colpisce ulteriormente in modo negativo è la sensazione che gli attuali grossi schieramenti politico-elettorali non riescano a comprendere adeguatamente la specificità e la gravità della situazione economica dell'Italia, e quindi non riescono ad elaborare una strategia adeguata. Cosa che invece è accaduto in Spagna, Portogallo e Grecia, paesi anch'essi in forte crisi, ma che negli ultimi due trimestri dell'anno in corso hanno registrato tassi di crescita superiore allo 0,5%. Tutto ciò indubbiamente pone inquietanti interrogativi al cittadino comune circa le motivazioni di una tale discordanza, pur trovandosi i tre paesi prima ricordati nelle medesime condizioni dell'Italia in termini di concorrenza, di mercati e di sistema monetario. A maggior ragione le stesse inquietudini non possono non ingenerarsi in un partito politico. Certo è auspicabile ed anche necessario, come sostiene Renzi, che l'Europa cambi passo; ma il premier dovrebbe anche spiegare la motivazione che rende incomprensibile, pur in un contesto di perfetta omogeneità, la negativa performance dell'Italia rispetto agli altri paesi, anch'essi operanti nel contesto dell'unione europea e del sistema monetario dell'Euro. Se non si fornisce una risposta credibile ed esauriente a questo dilemma (come invece il Pri Il Coordinatore Nazionale del PRI Saverio Collura 6 Relazione al 47° Congresso Nazionale del PRI ha cercato di fare), allora sarà più complesso, per non dire contrastato il rapporto con le istituzioni dell'unione europea. D'altra parte non serve a nulla il maldestro tentativo di polarizzare una sterile polemica con la commissione U E per tentare di "strappare" qualche ulteriore decimali per il deficit di bilancio del 2015. Noi siamo fermamente convinti che il vero problema non risiede nel convincere Junker ad essere più flessibile, ma piuttosto nel rendere credibile per i mercati finanziari mondiali la prospettiva che l'Italia sarà in grado di onorare i suoi impegni finanziari in termini di remunerazione e di rimborso dei debiti contratti con terzi. A nulla servirebbe avere l'assenso delle istituzioni europee sul deficit di bilancio, come avvenne nel 2011 per il governo di centro-destra, se poi il paese deve subire l'onere di uno spread di oltre 500 punti rispetto alla Germania. È certamente utile ed opportuno conseguire l'obiettivo di strappare l'autorizzazione ad uno spostamento in avanti dell'obbligo del pareggio strutturale del bilancio nazionale, ma è essenziale, vitale poter continuare a rinnovare il nostro debito sovrano in scadenza almeno ai tassi attuali; tenendo presente che ogni anno l'ammontare di tale esigenza si attesta intorno ai 180-200 miliardi di euro. Per cui solo un aumento dei tassi passivi dello 0,5% comporterebbe da subito, già dal primo anno, un onere aggiuntivo sul bilancio di circa 1 miliardo di euro; che dovrebbe essere finanziato o con un aumento di imposte, o con spostamento di risorse finanziarie. È questa la vera ed essenziale questione, rispetto alla quale il governo, tutto assorto nella fuorviante dialettica europea, non sembra aver ancora metabolizzato. Da qui i rilievi, le sollecitazioni e le preoccupazioni della B C E e del suo presidente Mario draghi, per i critici aspetti del bilancio e per le insufficienti azioni verso una concreta ed efficace politica di riforme nei paesi dell'euro, e in Italia in particolare. È infatti l'anomalo, eccessivo livello del nostro debito che rende l'Italia estremamente vulnerabile, e sempre in una situazione estremamente precaria; per cui qualsiasi tensione, anche marginale, sui mercati finanziari mondiali può ingenerare una situazione di grave stress sul bilancio italiano. Vale a tal proposito l'aneddoto che ricordava come un lieve soffio di crisi nel mercato finanziario di Hong Kong possa generare un uragano nella stabilità finanziaria dell'Italia. Quindi è la centralità (la drammaticità?) del nostro imponente debito pubblico che non può essere fatta passare in secondo ordine nel dibattito politico nazionale; ma deve rappresentare la prima e più incombente necessità da affrontare. Infatti con i tassi di crescita (forse siamo ottimisti a parlare di crescita) previsti dal governo per i prossimi anni sarà tecnicamente impossibile incidere, anche in maniera significativa, sull'ammontare del debito. Quindi si ripropone l'esigenza improcrastinabile di una consistente politica di crescita, che richiede l'attuazione di quei provvedimenti che il Pri ha ripetutamente indicato, e che non è necessario ora riprendere per economia di trattazione. Dobbiamo però evidenziare che neanche un tasso di crescita annua del 2% (oggi assolutamente inimmaginabile) consentirebbe di portare il nostro debito sovrano entro livelli di sicurezza per il futuro del paese. Si pone allora con forza la necessità di indicare un percorso di interventi di natura Il Coordinatore Nazionale del PRI Saverio Collura 7 Relazione al 47° Congresso Nazionale del PRI straordinaria, da attuare in parallelo con la crescita, e tali (insieme) da consentire il raggiungimento dell'obiettivo di un livello di debito più propriamente fisiologico e quindi rassicurante. Ma sia la crescita, che l'intervento straordinario sul debito pongono in modo rilevante la questione delle riforme strutturali da avviare concretamente nel nostro paese. Ad entrambe queste questioni i nostri governi hanno sempre risposto in modo superficiale, inadeguato, se non addirittura controproducenti. Da ultimo il governo in carica ha ritenuto di individuare, oltre che nel provvedimento del Jobs - Act, in due iniziative legislative, la riforma del Senato e della legge elettorale, un incisivo e significativo percorso di rinnovamento dell'assetto politico istituzionale , e quindi di maggiore efficienza del sistema paese. Su entrambi i provvedimenti, attualmente ancora all'esame del Parlamento, il partito si è espresso ripetutamente nelle sedi proprie, formulando un giudizio del tutto negativo. Io stesso ebbi modo di definire (forse con una terminologia alquanto colorita) il nuovo Senato ipotizzato come un caravan serraglio, privo di qualsivoglia reale, efficace e concreta prospettiva di rinnovamento politico-istituzionale. Non è infatti costituzionalmente opportuno affidare ad un ramo del Parlamento non eletto dai cittadini, che non ha nei suoi poteri e nelle sue prerogative il rapporto politico fiduciario con il governo, le competenze nella materia legislativa riguardanti le regioni e gli enti locali. E questa invece materia squisitamente politica ed istituzionale che non può, in quanto tale, essere svincolata dalla specifica prerogativa di governo, e che quindi non può prescindere dal vincolo di mandato fiduciario del Parlamento. Anche per la prevista nuova legge elettorale, mentre vogliamo riaffermare la completa disapprovazione, non posso non evidenziare la sola e reale motivazione che sembra trasparire dal cosiddetto "patto del Nazareno", che ha dato vita a questa legge elettorale(incostituzionale?) : la volontà di conservare e perpetrare il potere dei due schieramenti che hanno alternativamente governato (si fa per dire) l'Italia, le regioni ed i comuni capoluoghi in quest'ultimo ventennio. I risultati di tale azione sono plasticamente davanti agli occhi di tutti. Con questa legge elettorale si vuole "uccidere già in nuce" ogni possibile prospettiva di nuovo ed alternativo progetto politico di governo, diverso da quanto sino ad ora hanno propinato al paese i due schieramenti in essere. Il pensiero repubblicano è da sempre assertore del rinnovamento, perché la democrazia repubblicana si caratterizza proprio per la opportunità che sempre nuovi soggetti possano entrare nell'agone politico, per offrire ai cittadini nuove prospettive di governo. Conseguentemente dobbiamo auspicare una legge elettorale che crei queste possibilità, e non che ne impedisca ogni possibile affermazione. La nascita, la crescita e l'auspicabile affermazione di nuove proposte di governo sono il vero pilastro sul quale si fonda e si esplica la democrazia delegata; diversamente abbiamo la sclerosi (che è l'esperienza che stiamo vivendo) del sistema politico del paese. E' anche questo il senso del significato che voglio affidare all'obiettivo "dell'Altra Politica". Il Coordinatore Nazionale del PRI Saverio Collura 8 Relazione al 47° Congresso Nazionale del PRI Rispetto ad entrambe le proposte di riforme formulate dal governo, espliciteremo in modo organico le nostre indicazioni nel documento specificatamente finalizzato alla illustrazione delle nostre proposte per le riforme strutturali. Un partito esprime, anche con vigore polemico, i suoi giudizi, sviluppa le sue analisi politiche, economiche e sociali, ma poi se vuole operare efficacemente ed incidere sostanzialmente deve prospettare la sua visione, le sue idee, il proprio punto di vista sul futuro e sull'evoluzione della società in cui si trova ad operare. E come dicevamo, deve poter essere messo nelle condizioni di far arrivare il proprio progetto di governo all'attenzione dei cittadini. Saranno poi essi, dopo essere stati messi nelle condizioni di attentamente valutare e stabilire a chi affidare la propria delega per gestire il paese. E quindi arriviamo ad una questione centrale: se vogliamo veramente imprimere un efficace impulso al rinnovamento del paese; dobbiamo compiere un passo politico fondamentale: ridurre drasticamente il perimetro di competenza dello Stato, delle sue articolazioni e dell'insieme degli Enti Locali. Non più uno Stato debole con competenze le più disomogenee ed indistinte, e dal quale si sollecitano istanze di ogni genere, per ottenere provvedimenti di ogni possibile ed immaginabile portata. Da qui la conseguente struttura dello Stato attuale costosa, inefficace e distorsiva. Dobbiamo invece avere uno Stato forte che sappia concentrare in modo perentorio il suo operare nel rispetto dell'ordine pubblico e delle leggi. Ciò sarà possibile solo se si cambieranno le istituzioni che sono l'immagine concreta ed attiva dello Stato stesso; ridefinendo competenze, qualifiche professionali, strumenti operativi. Solo dopo tali radicali interventi sarà possibile un'efficace azione di "spending rewiev". Non possiamo infatti non registrare che in questi ultimi anni, nonostante l'impegno di persone (Giarda, Bondi, Cottarelli) di grande conoscenza ed esperienza della struttura del bilancio nazionale, della spesa pubblica e del funzionamento della macchina amministrativa, non è stato possibile conseguire nessun significato obiettivo di riduzione della spesa corrente improduttiva a nessun livello della Pubblica Amministrazione. Il dato di fatto dal quale, comunque, non possiamo prescindere è che in quest'ultimo ventennio sono state consumate tutte le possibili ed immaginabili, soluzioni di governo. Abbiamo avuto l'alternanza tra i due poli, il governo dei tecnici, il governo di solidarietà nazionale (o pseudo tale) con Letta ; ed infine oggi un esecutivo che sembra volersi connaturate di nuovo per la sua caratura politica, ma che tende sempre più a caratterizzarsi come il governo del leader. E dopo tutto ciò, la situazione complessiva dell'Italia non ha registrato le risposte positive attese. Ci sembra di dover constatare che in Il Coordinatore Nazionale del PRI Saverio Collura 9 Relazione al 47° Congresso Nazionale del PRI tutte queste esperienze ci sia stato sostanzialmente un deficit di cultura di governo, di visione strategica, di capacità di comprensione dell'evoluzione di un paese occidentale, industriale, che opera sul mercato globale, e che deve confrontarsi con paesi emergenti, che stanno sostanzialmente erodendo il patrimonio produttivo dell'Italia, che in quest'ultimo decennio,non a caso, si è ridotto di oltre il 20%. Inoltre il 67% delle aziende produttrici italiane ha il bilancio in perdita; l'ultimo rapporto SVIMEZ del 2014 fotografa in modo drammatico la situazione del sud: siamo in presenza di una desertificazione umana ed industriale; con tutto il mezzogiorno che sta attraversando un lunghissimo periodo di sette anni di recessione, contro la metà del tempo dell'Italia. Siamo ancora in una crisi che sembra non finire mai; abbiamo quindi la necessità di trovare le nuove strade, le nuove azioni politiche e le nuove forze fresche di governo per far crescere il paese:ma la speranza non è certo una strategia. Non si può più vivere di comunicazione; è giunto il momento di passare dagli enunciati alle realizzazioni. Bisogna affermare con forza che l'atto (l'agire di governo) non è buono in sé, ma deve essere misurato e valutato sulla base dei risultati, degli effetti positivi, del cambiamento prodotto. L'azione di governo quindi è buona, se si dimostra in grado di operare per innalzare nel medio termine il potenziale di sviluppo del paese; diversamente potrebbe apparire solo come diversivo rispetto alla drammaticità della situazione in atto, e come scorciatoia per conservare un potere mal gestito. Il movimento repubblicano deve quindi essere conseguente e coerente con le proprie analisi svolte in questi ultimi anni, e prospettarsi in modo diretto per rappresentare la nuova prospettiva di governo dell'Italia. E tutto ciò un progetto troppo ambizioso per le nostre esauste energie umane, elettorali e finanziarie? Forse sì! Ma se guardiamo la validità, la modestia, la pochezza dei soggetti politici che ci stanno intorno sentiamo la necessità, se non il dovere, di indicare una strada diversa, che possa aprire la visione a speranze di maggiore democrazia; che dia prospettive di sviluppo, di occupazione e soprattutto di migliore convivenza civile e sociale. Ed allora non lasciamo nulla di intentato; dobbiamo fare uscire dal congresso un grande partito, per un'Alta Politica, "Per L'Altra Politica". Alla luce dei dati di fatto possiamo dire che il sistema politico italiano non sembra esprimere una propensione per uno scenario bipolare, e tantomeno bipartitico; come si tenta di imporre con una legge elettorale che mira proprio a stravolgere la specificità multipolare, peraltro confermata dalle ultime consultazioni elettorali (politiche ed europee). Né si può pensare di forzare quest'evidenza adducendo pretestuose motivazioni qual è quella di poter conoscere la sera delle elezioni il vincitore. Questo è avvenuto in tutte le tornate elettorali politiche dal 1994 al 2008, ove si è avuta l'immediata evidenza dell'alleanza che aveva vinto le Il Coordinatore Nazionale del PRI Saverio Collura 10 Relazione al 47° Congresso Nazionale del PRI consultazioni. Ma ciò non ha consentito di avere governi all'altezza del mandato al quale gli elettori li avevano delegati. Non v'è dubbio che il risultato elettorale del 2013 ha rappresentato, attraverso il voto espresso, la sostanziale ripulsa delle esperienze di governo fino ad allora vissute (due volte governo del centro-sinistra, altrettante di centro-destra). E se oggi l'Italia, al di là della bassa crescita di tutto il continente europeo (che comunque crescita è), continua ad essere il solo paese in recessione, una motivazione ci dovrà pure essere; e questa non può che chiamare in causa le responsabilità di chi ha avuto l'onere e l'onore di governare e guidare il paese. Queste responsabilità non possono e non devono essere ancora sottaciute; o peggio perpetrate attraverso leggi elettorali di comodo. Ma il sistema tripolare, che sembra ancora polarizzare (ma fino a quando) l'attenzione dell'elettorato, evidenzia con chiarezza i limiti politici, programmatici e di governo. Lo schieramento tradizionale di centro-sinistra si è dissolto a seguito degli equilibri scaturiti dai risultati elettorali del 2013. Il suo principale partito sembra tentare una strada non consueta, privilegiando alla ineludibile esigenza di ricerca di chiarezza e di approfondimento programmatico la soluzione del plenipotenziario; che nel frattempo sembra avere anche riscoperto l'antica teoria da prima repubblica dei due forni politici. In questo contesto desta non poche riserve la prassi che si va instaurando che ogni provvedimento che superi il riscontro dell'organismo politico del PD deve diventare automaticamente soluzione obbligata per il Parlamento. Per cui la sola verifica e l'unico momento di approfondimento possibile possono avvenire nelle sedi di quel partito. Anche il centro-destra ha subito la identica implosione dopo il 2013; per cui un partito (N.C.D) collabora con il governo, mentre l'altro (Forza Italia) si pone in lista di attesa; e la Lega spinge la sua linea politica sempre più verso l'estremismo di destra, con i suoi collegamenti con la francese Le Pen. Il M5S vive la sua sterile esperienza parlamentare, tentando un'impossibile caratterizzazione e ruolo politico tutto incentrato sulla polemica anti euro ed anti Europa. Sarebbe tanto utile, invece, che questo movimento, che ha saputo nel 2013 più di tutti cogliere la domanda di radicale rinnovamento politico e di governo, si avvicinasse oggi ad un serio ed efficace progetto politico di stampo europeo e liberaldemocratico. Se a ciò non dovesse por mano, il suo declino elettorale, già delineato, potrebbe divenire ineluttabile; lasciando privi di rappresentanza politica un consistente e significativo bacino elettorale nazionale. Da ciò la necessità di costruire un incisivo e significativo ruolo politico del movimento repubblicano italiano: più diretto e più immediato nel suo agire politico. La funzione di stimolo, di ricerca di collaborazioni per far avanzare gli equilibri politici nazionali, e per sollecitare le forze di governo all'assunzione di forti responsabilità per il rinnovamento e lo sviluppo del paese deve lasciare il Il Coordinatore Nazionale del PRI Saverio Collura 11 Relazione al 47° Congresso Nazionale del PRI passo ad una caratterizzazione più immediatamente percepita dall'elettorato come volontà di assunzione di ampie e complesse responsabilità di governo. Probabilmente questa innovazione non potrà essere immediata; ma certamente tutto il percorso politico dovrà essere omogeneo e funzionale all'obiettivo strategico delle nuove responsabilità del movimento repubblicano. Non serve ricordare che già a partire dal congresso nazionale del 2011, e con il progetto approvato dal consiglio nazionale dell'1/12/2012 abbiamo posto le basi politiche per questo nuovo percorso. Abbiamo indicato nella costituente repubblicana liberaldemocratica la vera novità del quadro politico nazionale, e con le tesi congressuali i contenuti programmatici per un efficace governo del paese. Già immagino le possibili argomentazioni su "con chi realizziamo la costituente"? La mia valutazione è non con chi (perché dico con tutti quelli che ci stanno), ma come; con quale disponibilità ogni soggetto politico interessato a partecipare sia pronto a cedere parte significativa della propria autonomia, del proprio "potere", della propria rappresentatività. Questo è il vero nodo da sciogliere; e da come verrà dipanato si potrà dare all'opinione pubblica nazionale il segnale vero ed il concreto messaggio della reale volontà di dar vita ad un progetto alternativo all'attuale insoddisfacente assetto politico nazionale. Ma c'è ancora un'altra delicata questione sulla quale richiamare l'attenzione del dibattito congressuale, e riguarda la collocazione geopolitica dell'Italia, nell'attuale equilibrio geografico mondiale. Diciamo subito che non si può intravedere alcun ruolo incisivo per nessuno dei grandi paesi europei, ed a maggior ragione per l'Italia, già oggi chiaramente in difficoltà a mantenere in prospettiva il suo posto nel consiglio del G8, al di fuori di un sistema politico continentale integrato, e dell'ulteriore rilancio dell'attuale sistema monetario europeo. Gli Stati Uniti d'Europa sono la condizione necessaria, anche se non sufficiente, per costruire una presenza strategica del nostro continente nello scacchiere mondiale; non essendoci più spazi per deleghe ad altri paesi, ma solo per una efficace e proficua collaborazione dell'Europa con altri paesi continentali. Già con la presidenza di Obama abbiamo dovuto registrare una più accentuata attenzione degli Usa verso lo scacchiere dell'oceano Pacifico; ed i principali analisti politici nordamericani sono sostanzialmente concordi nel prevedere che il prossimo presidente U.S.A, repubblicano o democratico che sia, sarà fortemente condizionato nella sua strategia di politica estera da un'opinione pubblica essenzialmente interessata ed attenta solo alle questioni interne; quindi necessariamente il futuro leader americano sarà poco interventista. A ciò è anche da aggiungere che l'azione politica avviata dal leader russo Putin indica con sempre maggiore chiarezza il perseguimento dell'obiettivo (oggi con l'Ucraina e ieri con la Georgia) di voler riprendere il ruolo, il potere, le prerogative di Stato predominante, che aveva prima del tracollo Il Coordinatore Nazionale del PRI Saverio Collura 12 Relazione al 47° Congresso Nazionale del PRI dell'URSS; forse entro confini più ridotti, stante la realtà (sperabilmente) irreversibile dell'Europa dell'est. Tutto ciò potrebbe spingere il presidente Putin verso una politica energetica più spregiudicata, anche se oggi dobbiamo dire non ancora ipotizzabile. Ma anche la globalizzazione del commercio e dell'economia pone la vitale esigenza, in una prospettiva non certo lontana, di un percorso politico istituzionale di efficace integrazione europea. La positiva evoluzione delle trattative in atto per la definizione del nuovo accordo commerciale trans - oceanico(U.S. - EUROPA) diventerebbe certamente meno favorevole per i singoli paesi dell'Europa, qualora ritenessero di poterlo definire attraverso trattative bilaterali, e senza la significativa realtà della moneta unica (l'euro). Si pensa che con la messa a regime di tale accordo commerciale complessivo, il Pil dell'Europa e degli USA potrebbe registrare un incremento annuo compreso tra +0,5% ed 1,0%. Dicevo prima se proiettare il nostro raggio di azione verso un progetto di così vaste ambizioni potesse essere concretamente sostenibile. Ovviamente la mia risposta è convintamente positiva. Ecco perché è essenziale ed importante il prossimo congresso nazionale del Pri, perché dobbiamo portare avanti una profonda riflessione sul partito che deve farsi carico di un così ambizioso progetto politico. Il Grande Partito. La crisi dei partiti, che ormai dura da qualche decennio, ha prodotto e continua ad alimentare lo scadimento della politica, e con esso il degrado della democrazia nel nostro Paese: la politica è il percorso attuativo della democrazia; ed i partiti sono i naturali ed essenziali elementi operativi attraverso i quali si svolge la politica. Quando è in crisi o mal funziona questa connessione, allora si inceppa il percorso fisiologico, e vengono meno le coordinate di riferimento e di guida del meccanismo complessivo del governo di un Paese. Per fare un grande Paese democratico non basta un'ottima Costituzione (che è quella che noi oggi abbiamo), serve anche una classe politica valida, all'altezza dei compiti ai quali deve saper rispondere: è questo che oggi manca fortemente in Italia. È questa la situazione nella quale oggi si continuano ad alimentare le condizioni per il continuo e costante degrado complessivo della società italiana. Ecco perché è essenziale il Pri, un partito che ha sempre improntato i suoi riferimenti, la sua storia, la sua azione agli alti obiettivi della libertà, dello sviluppo e della tutela della dignità dei cittadini. Dobbiamo allora, proprio oggi nel momento in cui sembra che possa insorgere il dubbio sullo stesso futuro del Pri, ritrovare il Pensiero, l'Azione, e l'Impegno per fare riemergere con forza la peculiarità del nostro Partito. Dobbiamo con il prossimo congresso nazionale far emergere il rinnovato soggetto politico organizzativo, che sappia incarnare e caratterizzare, nella modernità oltre che nella difficoltà dei tempi attuali, la vita, la forza del Movimento Repubblicano. In esso si devono riconoscere, Il Coordinatore Nazionale del PRI Saverio Collura 13 Relazione al 47° Congresso Nazionale del PRI ritrovare ed eleggere come proprio riferimento istituzionale, politico ed elettorale tutti gli italiani più virtuosi, più impegnati e più attenti alla prospettiva dei Nuovi Diritti e delle Nuove Libertà dei Cittadini. I nuovi impegni, le nuove mete del Movimento Repubblicano. Il movimento repubblicano, nel corso della sua azione politica più che bicentenaria, ha vissuto più volte il dilemma di come ridefinire la propria "mission", trovando sempre la giusta risposta al quesito di come definirsi, di come trasformarsi, di come caratterizzarsi. La risposta, di volta in volta individuata, si fondava sempre su due capisaldi: la conferma delle proprie idealità, e della propria cultura politica; la necessità di porsi al servizio, e non servirsi, delle istituzioni repubblicane, affinché si affermassero attraverso l'efficacia delle istituzioni i diritti e le libertà dell'uomo; nella piena consapevolezza che non ci potesse essere democrazia compiuta svincolata dall'etica dei doveri. Il nostro prossimo congresso nazionale rappresenta proprio uno di quei momenti, di quei passaggi nei quali bisogna sapere indicare sia la strada, le condizioni per caratterizzare l'impegno politico. Certo le condizioni attuali di partenza non sono le migliori; ma come soleva dire Giovanni Spadolini se i momenti politici che stiamo attraversando fossero "di ordinaria amministrazione", non ci sarebbe bisogno del partito repubblicano. Pur consci delle difficoltà, da qualcuno addirittura ritenute insormontabili (ma non dai veri repubblicani ), riteniamo che ancora una volta vada profuso tutto l'impegno possibile ed immaginabile per portare a compimento l'opera: come rinnovare il Pri, come governare l'Italia. Nell'affrontare questa tematica, va riaffermato con forza in via propedeutica che noi non intendiamo abbandonare o peggio espellere dalla nostra prospettiva tutto il costante impegno e la caratterizzazione nell'azione operativa del partito. Anzi ne riaffermiamo e ne rivendichiamo tutta intera la peculiarità delle idealità, della cultura e della tradizione politica. Si tratta, in sostanza, di plasmare una più incisiva e proficua struttura dell'organismo politico attraverso il quale veicolare e prospettare le indicazioni, le proposte della nostra azione politica; per riuscire così con più immediatezza a "trasdurre" in concreti indirizzi ed in linee operative convincenti ed attuali la cogente visione della società, della democrazia, dei diritti e dei doveri. Non si tratta perciò di attuare una cesura, ma, secondo il pensiero e l'operato di Arcangelo Ghisleri, di prospettare un "lucido rinnovamento del pensiero repubblicano". Ma dobbiamo anche rivalorizzare ed attualizzare i connotati originali di quel movimento organizzato che nel periodo tra il 1831-1833,partendo dalla Giovine Italia, diede vita ad una struttura operativa di straordinaria modernità per quel periodo, che prefigurava i connotati del moderno partito politico. Non a caso gli aspetti più salienti e caratterizzanti di quella organizzazione politica venivano chiaramente indicati in quattro punti: 1. l'adesione doveva avvenire con pagamento di quote associative; 2. l'azione politica doveva essere esplicata attraverso l'elaborazione di un programma pubblico; Il Coordinatore Nazionale del PRI Saverio Collura 14 Relazione al 47° Congresso Nazionale del PRI 3. la vita associativa doveva svolgersi secondo i principi del confronto, della democrazia interna, della rappresentatività; 4. la comune convivenza si doveva realizzare sul principio della disciplina di partito. L'azione di rinnovamento del Pri, al di là dell'attuazione legislativa dei principi costituzionali, deve ispirarsi completamente a tutte le linee guida prima indicate. In particolare, i quattro punti definiti nel lontano 1831-1833 devono rappresentare compiutamente ed efficacemente i principi ispiratori dell'organizzazione e dell'azione del rinnovato Partito Repubblicano. Si tratta di renderli attuali, vivi e nitidi attraverso la puntuale formulazione di norme operative e comportamenti che enfatizzino al massimo i nobili principi che sottintendono. Conseguentemente l'adesione al partito deve sì comportare l'impegno imprescindibile a contribuire al finanziamento della vita e dell'attività (e questo sembrerebbe anche ora scontato) con il versamento delle quote annuali; ma ciò non appare esaustivo. Bisogna anche studiare l'opzione di prevedere la figura dell'assemblea dei soci finanziatori, che impegnandosi (in aggiunta alla quota annuale) con un vincolo solido a sostenerne in modo significativo i costi di funzionamento, assumano la figura di "azionisti finanziari" (senza prerogative politiche), che hanno il compito di nominare l'amministratore del partito; di controllare la gestione secondo le modalità da definire; di predisporre , sulla base del programma politico ed operativo formulato dal consiglio nazionale, il budget previsionale di spesa per l'anno sociale; di formulare il parere di congruità e di copertura di spese non previste ed aggiuntive rispetto al budget; di predisporre la relazione da allegare al bilancio consuntivo annuale elaborato dall'amministratore; di revocare, se del caso, l'amministratore in carica. Si creerebbe, così facendo, una maggiore garanzia di trasparenza e di rigore finanziario ed amministrativo. L'obbligatorietà poi del programma pubblico comporterebbe la necessità di caratterizzare l'azione del partito non solo (e forse non tanto) sulla figura quasi carismatica del leader, ma essenzialmente sulla chiarezza degli obiettivi, dei contenuti, delle priorità programmatiche; consentendo una (per noi) radicale trasformazione da partito del leader (a tutti i livelli, non solo quello nazionale) a partito del progetto. Ciò, per essere coerenti sino in fondo, necessiterebbe di una norma che ponesse dei limiti temporali (assolutamente invalicabili, non derogabili e senza esclusioni) negli incarichi politici ed istituzionali. Le modalità di svolgimento della vita associativa diventano un punto nodale sia per la funzionalità,che per la garanzia di pacifica coesistenza nel partito, tra componenti che si sono confrontati su progetti alternativi. È per questo che vanno definiti strumenti operativi ed organizzativi, più incisivi rispetto a quelli vigenti, di tutela delle eventuali minoranze; le quali dovrebbero, in qualunque momento e situazione, poter verificare che l'azione operativa (non politica) della Il Coordinatore Nazionale del PRI Saverio Collura 15 Relazione al 47° Congresso Nazionale del PRI maggioranza non sia finalizzata a penalizzare la minoranza. Ciò vale anche per l'utilizzo delle risorse e delle strutture di informazione del partito. In sintesi il tutto si riassume nell'opportunità di prevedere "La carta dei diritti e della tutela della minoranza". Se diventa reale, concreta ed efficace la nuova filosofia dei rapporti interni, allora ne consegue che sarà anche possibile una rigorosa e tempestiva applicazione del principio essenziale della disciplina interna del partito; con tutto ciò che ne consegue. Ma questi aspetti sono al momento sufficientemente definiti ed applicati; ciò non esclude che possano essere ulteriormente aggiornati e meglio formulati nella tempistica, e nelle modalità di applicazione. Il partito ed il territorio. La presenza organizzata del Pri sul territorio richiede una particolare riflessione, che deve portare ad individuare le condizioni per un efficace modello di relazioni tra tutte le strutture che compongono il partito. Il Pri vuole essere un partito nazionale; ma nel contempo diventa sempre più essenziale, per una forte e significativa azione politica, una robusta e caratterizzata azione delle strutture articolate del partito sul territorio di propria competenza. Appare comunque evidente che la dialettica politica che può insorgere nel partito non debba portare e/o sfociare in una deleteria contrapposizione, proiettata all'esterno al di là di ogni ragionevole considerazione. Ciò richiede necessariamente un rigoroso rispetto delle competenze statutarie dei vari livelli operativi del Pri, senza prevaricazioni, ma anche senza strumentali iniziative che possano arrecare danno all'immagine, al ruolo ed alle competenze dei diversi organismi statutari e del Partito nella sua proiezione complessiva ed unitaria. Anche per questo aspetto, appare utile e risolutivo l'enucleazione di norme di governo dei comportamenti; mai comunque finalizzati né a boicottare, né al limitare le libere espressioni dell'eventuale articolazione politica. Il dissenso politico va rispettato, e deve potersi esprimere in tutta libertà ed autonomia, perché deve essere possibile che possa diventare il nuovo punto di riferimento del progetto politico del partito. Mutuando una terminologia propria della normativa societario - aziendale, diciamo che il Pri deve poter essere "contendibile";e tale concetto deve avere un'efficace valenza statutaria. Ma ciò deve sempre coniugarsi con la forte e necessaria affermazione e rispetto del principio, dell'immagine, e del ruolo del Pri partito nazionale. E' evidente che tutto ciò richiede la messa a punto di un nuovo Statuto, che possa recepire sia la normativa prevista dalla legislazione vigente, anche in materia di finanziamento pubblico dei partiti, che "la nuova filosofia" di partito prima indicata. Il Coordinatore Nazionale del PRI Saverio Collura 16 Relazione al 47° Congresso Nazionale del PRI Abbiamo tanta materia di dibattito e di confronto per il prossimo congresso; ma anche tante difficoltà da affrontare e superare. Ma l'ottimismo non deve venir meno,perché (per fortuna)il futuro del PRI è nelle nostre mani. Saverio Collura
Consiglio Nazionale Roma - 30 novembre / 1 dicembre 2012 Centro Congressi Cavour Contributo programmatico per la costituente liberaldemocratica 2 Consiglio Nazionale Pri - Roma, 30 novembre / 1 dicembre INDICE Ripartiamo dalle idealità per rinnovare l'Italia pag. 3 La ricerca come motore di rinnovamento e di sviluppo culturale, sociale ed economico 7 La comopetitività ed il futuro del Paese nell'economia globale 13 Il conto economico dell'Italia ed il macigno del debito pubblico 19 Il sistema produttivo italiano: la crisi e le prospettive 23 Nuovo patto sociale e sindacato 29 Il sistema bancario italiano e la presenza delle Fondazioni 33 Un servizio sanitario nazionale per i cittadini 39 Nord e Sud: il problema nazionale 43 Riforme istituzionali 47 Le professioni e gli ordini: professionalità, sviluppo, efficienza 53 Scuola e Università 57 Turismo 63 Giustizia 67 Politica estera 71 Aprire l'Italia ai giovani - Contributo autonomo della FGR 75 Consiglio Nazionale Pri - Roma, 30 novembre / 1 dicembre 3 RIPARTIAMO DALLE IDEALITA' PER RINNOVARE L'ITALIA 4 Consiglio Nazionale Pri - Roma, 30 novembre / 1 dicembre Ripartiamo dalle idealità per rinnovare l'Italia 5 L'Italia è un grande Paese che sa sempre recuperare, quando un pericolo incombente minaccia le fondamenta sociali e democratiche, le energie morali ed umane per trovare la giusta misura che consenta di superare le difficoltà e riprendere il suo cammino di comunità moderna, europea; che sa accogliere quella parte di umanità la quale, spinta da esigenze primarie e vitali, cerca nuove possibilità di sopravvivenza in altri paesi. Siamo la settima Nazione del mondo moderno, democratico e sviluppato. Gli eventi che abbiamo vissuto, le difficoltà economiche, sociali e politiche che stiamo attraversando avrebbero potuto sfiancare un popolo, disarticolare una Nazione, fiaccare una democrazia fragile. L'Italia ha attraversato una fase di sconcerto per aver scoperto all'improvviso che la crisi che la coinvolgeva non sarebbe stata passeggera, e che non ne sarebbe uscita dalla stessa prima e meglio di altri. I cittadini hanno scoperto sulla loro pelle la realtà, le difficoltà, la portata negativa degli eventi incombenti, che non sono nati all'improvviso, ma sono l'epilogo di una costante e continua involuzione, che ha fatto perdere oltre che competitività, investimenti, occupazione e ricchezza, anche la fiducia nel futuro. Purtroppo la realtà è che l'Italia e gli italiani raramente sono stati educati dalla loro classe dirigente, salvo le eccezioni rappresentate da Ugo La Malfa (ricordiamo la Caporetto economica, l'epiteto di Cassandra), da Giovanni Spadolini, ed in genere dell'azione politica del Pri, a voler conoscere e comprendere compiutamente la reale situazione congiunturale del proprio Paese. È bastato che una guida credibile di governo parlasse ai cittadini con rigore e con chiarezza, e che predisponesse provvedimenti legislativi conseguenti con l'obiettivo di invertire la rotta catastrofica, per imprimere un senso di fiducia ed una volontà di ritrovare la prospettiva della speranza. Certo il disorientamento è ancora grande, perché grandi sono i problemi tuttora aperti. Lunga è ancora la strada da percorrere e le difficoltà da superare. Ma d'altra parte come era possibile immaginare che venti anni di continuo declino, di difficoltà disconosciute e di pericoli ignorati potessero essere superati con una breve esperienza di rinnovata governabilità? Sono ancora necessari, almeno, i tempi di tutta la prossima legislatura, se vissuta con coerenza di obiettivi e con consequenzialità di comportamenti politici, sociali, governativi: serve cioè una coerenza politica. È stata la cattiva politica a creare i presupposti della crisi in atto; e la cattiva politica non potrà offrire le risposte ai problemi del Paese. Serve una buona politica; e perché sia tale deve necessariamente trovare radici in una forte idealità. A questo principio ha sempre ispirato la propria azione il movimento repubblicano, nella convinzione che senza un'etica che la sostenga e la ispiri, la politica perde la sua"anima". E senza una buona politica, l'economia tende a soggiogare gli uomini, lasciandoli nell'arbitrio delle leggi di mercato. Un'economia "sapiente" vuole e può perseguire l'obiettivo dell'integrazione sociale, della promozione di nuove occasioni per i più indigenti; sviluppare interventi che rispondano ai bisogni della collettività umana. Senza un tale ancoraggio, prenderà il sopravvento la cattiva finanza,che prevarica e genera gravi crisi e distorsioni sociali. Ma il repubblicanesimo ha anche chiaro che le leggi della buona economia non possono essere subordinate alla cattiva politica, perché gli effetti conseguenti sono il degrado dei fattori produttivi, la perdita di competitività, il sottosviluppo, la disoccupazione. Questi principi sono, da sempre, fortemente presenti nel programma di governo del movimento repubblicano; da tali principi ispiratori è alimentato il progetto finalizzato al superamento della crisi ed al rilancio del nostro Paese. I tratti peculiari delle proposte messe a punto dal Pri trovano origine nelle tesi programmatiche, approvate dal congresso nazionale di Roma del 2011. Esprimono, con forte convinzione, la necessità che il Paese intraprenda la strada maestra delle riforme strutturali, che sono la vera ed incisiva risposta al superamento della crisi in atto. Sono più di venti anni che il Paese non cresce, perché è afflitto da una persistente cultura del "non governo", nel senso alto e nobile dell'espressione. Sono tanti gli anni persi, senza incidere sulle questioni di fondo del sistema socio-economico nazionale, senza attuare gli interventi essenziali per renderlo moderno. Sono stati anni di pervasivo egoismo, di assenza di alti e nobili obiettivi, di mancanza di visioni strategiche; tutto ciò ha fatto perdere il senso di comunità 6 Ripartiamo dalle idealità per rinnovare l'Italia nazionale, nell'illusione vana che ci si potesse rinchiudere nel proprio" particulare" sociale e geografico. In ciò fuorviati da una errata, superficiale e rovinosa prospettiva federalista; o, in altri casi, da una inerzia di iniziativa e dall'incapacità di trovare le risorse morali, politiche ed operative per tirarsi fuori dal sottosviluppo e dal declino. Il progetto del Pri vuole indicare una diversa cultura di governo, ispirata alle idealità repubblicane, liberal- democratiche, ed imperniata su un efficace programma di riforme strutturali, che possa incidere sugli aspetti fondamentali del Paese: -il sistema politico ed istituzionale; -la spesa pubblica ed il rientro dal debito sovrano; -la competitività, la crescita e lo sviluppo occupazionale; -l'Università, la scuola, la formazione, la ricerca; -l'assetto produttivo , la ristrutturazione del sistema sanitario nazionale. Proponiamo e perseguiamo il nuovo Risorgimento Nazionale. Questo vuole essere il progetto della Costituente repubblicana liberal-democratica, arricchito dai contributi e dalle collaborazioni di tutti quei soggetti che condividono i principi ideali che lo ispirano e lo sostengono. Consiglio Nazionale Pri - Roma, 30 novembre / 1 dicembre 7 LA RICERCA COME MOTORE DI RINNOVAMENTO E DI SVILUPPO CULTURALE, SOCIALE ED ECONOMICO 8 Consiglio Nazionale Pri - Roma, 30 novembre / 1 dicembre La ricerca come motore di rinnovamento e di sviluppo culturale, sociale ed economico 9 Premessa Quando parliamo di ricerca non ci riferiamo solamente a quella scientifica o tecnologica, ma allarghiamo il nostro orizzonte per comprendere quanto, partendo da queste, sia possibile sviluppare un'ampia riflessione tesa ad un più equilibrato sviluppo della persona umana. La ricerca rappresenta il fine dell'esistenza umana. Non può esserci alcun progresso senza la consapevolezza che la ricerca rappresenta in tutti i campi della speculazione intellettuale, il motore che innova, secolo dopo secolo, la vita sociale e culturale di una nazione, di un popolo, nonché la convivenza tra i popoli, trasformandosi in bene economico anche quando sfugge la percezione reale della stessa. La cultura è figlia della ricerca, dell'osservazione, dell'analisi che universalmente ha caratterizzato la convivenza umana attraverso una riflessione sulla natura dalla quale si sono apprese le conoscenze che nel tempo hanno avvicinato l'essere umano alla ragione. Ricerca e cultura, rappresentano quello che un popolo è o vuole essere. Nelle società libere la cultura svolge una funzione sociale, in tal senso, occupandosi della vita comunitaria, include in sé la funzione politica grazie alla quale si studiano e analizzano, non tanto e non solo i comportamenti degli individui, quanto i meccanismi regolatori che definiscono le norme della convivenza democratica. Ricercatore, intellettuale o politico nel pubblicizzare il risultato delle loro ricerche autodefiniscono il grado di responsabilità che si assumono verso l'intera collettività. Una responsabilità non minore degli altri soggetti con i quali interagiscono e con i quali concorrono al bene comune. Responsabilità che sempre più, non potendo essere regolata ab initio, richiede una profonda conoscenza dei valori democratici che si intendono rafforzare o innovare, con la consapevolezza del limite che, in una data fase storica, può o non può essere travalicato. Scienza e tecnologia hanno già innescato cambiamenti sociali non paragonabili ad altre epoche della storia dell'uomo, hanno un alto impatto sulla nostra esistenza, in particolare quelli compiuti nel campo della scienza della vita. Pongono una serie di preoccupazioni alle quali ancora non sembriamo attrezzati nel dare risposte adeguate, soprattutto in campo politico. La linea di demarcazione è rappresentata da ciò che consideriamo naturale e ciò che può essere modificato dall'uomo. L'applicazione dei processi scientifici suscitano sul piano emotivo l'insicurezza sul chi siamo e su dove stiamo andando. Ciò in quanto sono ravvisabili i contrasti tra i valori e le convinzioni etiche di ciascuno di noi. La linea di ciò che è naturale e ciò che è naturale cambiare è soggetta a diverse interpretazioni e prima che una interpretazione basata su un illusorio benessere, e quindi su un concetto erroneo di sviluppo, prenda il sopravvento è bene che la società si interroghi nel tentativo di individuare il denominatore culturale comune di un progresso che non potrà fermarsi. La globalizzazione comporta una crescente interconnessione delle nuove differenzazioni le quali, pur arricchendo il pensiero, aprono la vita delle società ad interpretazioni multiculturali che obbligano le diverse culture nazionali ad una convivenza i cui esiti sono ancora oggetto di studio e ricerche. Se questo può apparire ad alcuni pericoloso, in realtà l'incontro tra diverse culture ha aperto la strada ad un confronto costruttivo, il rifiuto del quale condannerebbe qualsivoglia società all'intolleranza e alla violenza. La ricerca e la cultura, al pari dell'economia e della politica, rappresentano il grado di qualità di una società: non vi può essere economia o scienza senza ricerca, come non vi potrà essere politica senza cultura. L'interconnessione qualitativa tra questi elementi rappresenta la risposta ai bisogni dei cittadini che, pur attraverso una gerarchia delle necessità, tendono ad una crescita del benessere materiale e intellettuale. Il problema odierno è quello di mantenere in equilibrio questi elementi, perché non sarebbe saggio che uno di questi prevaricasse gli altri per fini che danneggerebbero il delicato meccanismo della democrazia. Non sarebbe conveniente che l'economia si impadronisse della politica e quest'ultima de10 La ricerca come motore di rinnovamento e di sviluppo culturale, sociale ed economico terminasse la cultura. La ricerca soffre di debolezza materiale al pari della cultura, in tale penalizzante situazione sono impossibilitate a partecipare allo sviluppo economico e sociale, bloccate da una visione minimalista proprio sull'importanza economica che entrambe possono assumere in gravi momenti di crisi. La tutela dei beni culturali e ambientali, nonché delle attività intellettuali in generale, rappresentano il grado della cultura di un popolo, al pari di quella scientifica o industriale, divenendo sinonimo di educazione diffusa per la conservazione e la tutela, così come nel contempo contenitori per nuove e innovative esperienze economiche. Nuove proposte gurdando all'Europa Ciò premesso, le difficoltà finanziarie del Paese non sono sufficienti a giustificare il declino dell' impegno pubblico e privato per la ricerca scientifica e tecnologica. L' apertura di una fase nuova della politica europea (2014 - 2020) e l'impostazione del programma "Horizon 2020" -per l' autonomia della scienza e lo sviluppo di infrastrutture di eccellenza internazionale, fortemente orientati alla domanda che emana dal tessuto sociale e produttivo - dovranno costituire il riferimento prioritario di un' azione di governo, mirata non solo ad incrementare le risorse pubbliche e private a disposizione dei nostri migliori laboratori e ricercatori, ma anche ad incidere in profondità nei punti di maggiore criticità e sofferenza. Le riforme susseguitesi dal 1999 ad oggi hanno favorito solo l'invadenza della politica sulle istituzioni di ricerca, ed il mantenimento di un sistema di trasferimenti ed incentivi oramai non più accettato dalle stesse imprese che ne hanno beneficiato. Il nuovo intervento dovrà, in primo luogo, garantire il rispetto di alcune condizioni essenziali senza le quali il declino di competitività del nostro sistema di R & S non si arresterà, che cos' riepiloghiamo: - riportare il Ministero della Ricerca e dell' Università alle sue originarie funzioni di indirizzo e coordinamento, sgravando la burocrazia da quelle di "agenzia", da affidare ad una entità nuova, snella e competente, che nel rispetto dell' autonoma vita degli Enti di Ricerca e degli Atenei, provveda ad una totale revisione degli attuali meccanismi di valutazione, di finanziamento e di trasferimento delle conoscenze e delle tecnologie; - esigere, attraverso una vera azione programmatica e di controllo dei Governi e del Parlamento, il coordinamento e le sinergie tra tutti gli attori e l'aderenza massima agli obiettivi europei; il più efficiente ed efficace utilizzo delle risorse comunitarie (v. Pon- FESR e VIII Programma Quadro), lo sviluppo ed il consolidamento di veri e propri "cluster tecnologici nazionali", competitivi sul piano internazionale, in corrispondenza dei punti di forza e/o potenzialità del nostro sistema (Chimica verde, Agrifood, Tecnologie per gli Ambienti di Vita, Bioscienze, Smart Communities, Domotica, Sistemi di Mobilità etc); - favorire il massimo interscambio tra l' azione delle Regioni e quelle del Governo, delle istituzioni di ricerca, degli Atenei, delle imprese, anche rafforzando ed istituzionalizzando l' attuale "Osservatorio delle Regioni e delle forze sociali sulla Ricerca e l'Innovazione", per sviluppare le sinergie sul territorio e tra i territori e la diffusione negli stessi delle "best practices"; - utilizzare, in maniera virtuosa, la leva fiscale (credito di imposta) per incentivare il maggior impegno innovativo delle nostre piccole e medie imprese, e la "Carta Europea del Ricercatore" per la valorizzazione delle nostre risorse umane. Un elemento centrale della società moderna è la ricerca presso le Università. Ma questa ricerca necessita di un passaggio di confronto con il mondo produttivo e della ricerca privata. Tale confronto dovrà concludersi con una valutazione, certamente non vincolante per le Università, ma che rappresenti La ricerca come motore di rinnovamento e di sviluppo culturale, sociale ed economico 11 l'opinione delle realtà socio-produttive del Paese. Nuovi obiettivi: l'innovazione sociale Per quanto riguarda l'innovazione, che include quella tecnologica e di marketing, soffriamo della mancanza di un sistema di ricerca e sviluppo nazionale e gli istituti di ricerca che rimangono stanno per chiudere, anche quelli di eccellenza internazionale. Prima di tutto, l'innovazione non è più unicamente una questione riguardante necessariamente nuovi prodotti e nuovi beni di consumo o soltanto nuove tecnologie. Infatti, gran parte delle innovazioni che hanno fatto la differenza negli ultimi anni, sono state innovazioni sociali. Inoltre, molte di queste innovazioni sociali, ed importanti innovazioni tecniche, specialmente nel campo del software, non sono più il prodotto esclusivo di grandi società e centri di ricerca, ma incorporano la quotidiana creatività di piccole imprese, comunità produttive auto-organizzate, e persino individui che adesso più facilmente riescono a mettersi in contatto fra simili e collaborare. E' questo il prodotto della nuova tendenza a rifare economia che va sotto il nome di 'Innovazione sociale'. Secondo World Intellectual Property Organization l'Italia produce tanti brevetti quanto la Svizzera, ma con una popolazione quasi nove volte più grande. Questa situazione però non è esaustiva della reale situazione. Infatti, dietro la passività delle strutture economiche e politiche di questo paese, sembra emergere una nuova ondata di creatività e energia, particolarmente fra le generazioni più giovani. Molti di questi sono cresciuti nel nuovo ambiente informatico di cui internet e i social media sono diventati parte integrante della vita quotidiana, e sono perciò abituati a nuovi modi di trovare informazioni, di mettersi in contatto con altri e collaborare. Molti hanno vissuto a lungo all'estero, per scelta o necessità, e sono stati in contatto con quelle nuove forme di socialità che si sviluppano in centri creativi. Sono coloro i quali hanno vissuto la fine delle grandi ideologie, dei movimenti sociali, e della politica dello scontro ideologico; e hanno sviluppato un approccio più pragmatico all'azione politica, enfatizzando l'intervento concreto, programmato e di lungo periodo. Queste generazioni concepiscono l'innovazione sociale come un nuovo modo di fare impresa nel senso umanistico e rinascimentale del termine, intraprendere un progetto che vuole fare la differenza. "L'Innovazione Sociale è considerare una nuova soluzione ad un problema sociale che si distingue dalle soluzioni esistenti perché più efficace, più sostenibile, più equa, grazie alla quale il valore creato ricade sulla società nel suo complesso più che sui singoli individui"(Stanford Review).Una nuova idea che va incontro ad un bisogno e crea nuove forme di relazione, informazione, collaborazione e condivisione. Attraverso l'Innovazione Sociale è possibile ricostruire e riorganizzare i processi sociali, economici, finanziari, aziendali, tecnologici, culturali. A questa nuova prospettiva guarda con interesse il partito repubblicano, convinto che la pluralità degli impegni, delle proposte e dei progetti sia la chiave vincente per lo sviluppo del paese. 12 Consiglio Nazionale Pri - Roma, 30 novembre / 1 dicembre Consiglio Nazionale Pri - Roma, 30 novembre / 1 dicembre 13 LA COMPETITIVITA' ED IL FUTURO DEL PAESE NELL'ECONOMIA GLOBALE 14 Consiglio Nazionale Pri - Roma, 30 novembre / 1 dicembre La comopetitività ed il futuro del Paese nell'economia globale 15 Nel prossimo quinquennio, l'obiettivo primario di tutti gli italiani, ed in modo specifico dei governanti, deve essere la crescita del Paese, che é la sola efficace terapia per dare nuova fiducia e prospettiva alla nostra comunità nazionale. L'esigenza della crescita, inoltre, è la vera e credibile (forse vitale) condizione per rendere plausibile la potenzialità del nostro Paese a sostenere un così elevato ed incombente debito sovrano, onorando, in prospettiva, la solvibilità sia in termini di rimborso dei capitali, che di remunerazione degli stessi. Il livello dello spread esprime il giudizio che gli investitori esteri riservano al futuro del nostro Paese. In sostanza, bisogna invertire il trend in atto e fare aumentare in modo significativo la competitività del sistema Italia, condizione questa prioritaria ed assoluta per far evolvere positivamente il sistema economico nazionale. Senza recupero di competitività, l'Italia rischia di brutto; questa l'affermazione che in questi ultimi mesi hanno sempre evidenziato i tanti commentatori italiani e stranieri , convinti che la costante perdita di competitività del "sistema Paese" sia la questione centrale della nostra crisi di sviluppo e di crescita. Ai limiti strutturali del nostro sviluppo competitivo, si sono aggiunti anche gli effetti dirompenti dell'ultima crisi mondiale. Rispetto ai dati del primo trimestre 2008, abbiamo dovuto constatare una regressione di quasi sette punti di Pil, di oltre 700.000 posti di lavoro persi, l'abnorme crescita della cassa integrazione, l'esplosione del debito pubblico, che ormai sfiora i 2000 miliardi di euro. La globalizzazione del sistema economico e sociale, la opportuna adesione alla moneta unica europea, nonché gli effetti (positivi e negativi) conseguenti all' adesione al WTO (organizzazione del commercio mondiale) ci hanno consentito l'accesso a nuove e più consistenti prospettive di sviluppo, ma nel contempo hanno posto la necessità di dover adeguare i nostri meccanismi di risposta per far fronte alla complessità ed alla vulnerabilità che la nuova realtà poneva a noi, come a tutti gli altri paesi del mondo industrializzato. Rispetto a questo cambiamento epocale, la nostra risposta è stata incongrua. Infatti, venuti meno i tradizionali strumenti correttivi (permeabilità economico- sociale contenuta, svalutazione monetaria, in inflazione) dei cicli congiunturali, abbiamo dovuto subire gli effetti conseguenti all'aumento della concorrenza dei paesi emergenti dell'Asia e sud America, che potevano supplire alle carenze tecnologiche con l'utilizzo della forza lavoro a costi estremamente bassi (oggi il costo medio mensile di un operaio cinese è pari a circa € 100); nonché la forza d'urto dei maggiori paesi dell'unione europea, che "protetti" dalla stabilità monetaria rappresentata dall'euro, hanno eroso all'Italia significative quote di mercato nei paesi dell'U E, in virtù della loro maggiore forza competitiva. Le conseguenze e gli effetti di questi fenomeni si sommano e si evidenziano tutti nel declino complessivo dell'Italia. IMD, prestigioso osservatorio svizzero che monitorizza con sistematicità il livello dell'efficienza dei paesi più industrializzati, ha reso noto nel suo ultimo "World competitiveness Rankings" 2012 che l'Italia si trova al 40º posto, su un campione di 59 nazioni. Tutti i paesi dell'area euro inseriti nel panel IMS, con l'eccezione di Portogallo e Grecia, trovano una migliore collocazione; alcuni addirittura in posizione alquanto elevata. Altrettanto negativa è l'indicazione prospettata dal World Economic Forum , che analizza la capacità di crescita di diversi Stati (144 paesi) nel medio/lungo periodo (escludendo quindi i primi due anni): l'Italia, nel 2012, si attesta in 44ª posizione; anche in questo caso alquanto penalizzata rispetto ai principali paesi dell'area euro. La grave crisi di competitività in atto nel Paese ha cause e radici profonde e complesse riconducibili a: - la finanza pubblica, la spesa corrente, il debito sovrano; - il differenziale di inflazione; - il lavoro e la formazione professionale; - le infrastrutture e gli investimenti pubblici; - la ricerca e lo sviluppo; - la pressione fiscale; - la finanza d'impresa; 16 La comopetitività ed il futuro del Paese nell'economia globale - i costi energetici; - le liberalizzazione mancate. La tesi programmatica repubblicana dal titolo"La competitività una questione centrale per il paese. Perché"? fornisce un consistente materiale di analisi e di approfondimento per ognuna delle voci prime indicate; pertanto a tale pubblicazione rimandiamo chi volesse approfondire i contributi offerti dal Pri. La crisi globale in atto, che ha investito orizzontalmente tutte le nazioni del mondo, si è sviluppata in modo più violento (provocando così una forte recessione) in Italia, rispetto ai paesi con maggiore livello di competitività, proprio a causa della maggiore debolezza e vulnerabilità del nostro Paese. Per le stesse ragioni, allorché cesseranno le cause negative, l'Italia beneficerà degli effetti della ripresa congiunturale mondiale in tempi più ritardati ed in misura inferiore. L'analisi puntuale di questa asserzione è espressa in una pubblicazione della Banca d'Italia (M.Calvani ed altri. Occasional Paper n.64 Aprile 2010). Da ciò la necessità di riportare l'Italia ad un livello di competitività comparabile con quello della Germania, della Francia e dei Paesi più virtuosi dell'area euro; diversamente il declino sarà sempre più continuo e consistente. Ma per conseguire questo obiettivo sono necessari interventi strutturali e di ampio respiro, un rigore ed una coerenza assoluti,la cognizione piena delle difficoltà, il convincimento che il successo sia possibile. I campi di intervento dell'azione di governo, secondo i repubblicani, devono riguardare: 1). Risanare le finanze ed i conti dello Stato,ridurre la spesa corrente e riportarla ai valori dell'anno 2000; 2). Invertire il trend in atto e far crescere la competitività, per rilanciare l'economia nel complesso; 3). Aumentare in modo consistente il tasso occupazionale. Per ognuno di questi tre segmenti di intervento, sono stati indicati, nel documento del Pri prima richiamato, le azioni ,i comportamenti, ed i provvedimenti da assumere e portare a realizzazione. Di seguito, quindi, limiteremo l'esposizione all'enunciazione sintetica delle proposte. In particolare per risanare le finanze e i conti dello Stato, bisogna: punto 1) - realizzare e mantenere il pareggio strutturale del bilancio dello Stato e degli enti locali; - portare il debito pubblico entro il limite del 60% del Pil; - ridurre la spesa corrente e riportarla ai valori dell'anno 2000; - attuare un'incisiva e risolutiva lotta all'evasione fiscale, vera macelleria sociale secondo la definizione di Mario DRAGHI, con l'obiettivo di pervenire ad una riduzione " fisiologica" ed in linea con i livelli dei paesi moderni dell'Occidente, rispetto alla cifra imponente oggi stimata in oltre 110 miliardi di euro; facendo leva in modo strutturale sul conflitto di interessi. punto 2) perseguire l'obiettivo di un tasso di crescita annua del Pil del 2%.Tale risultato può essere conseguito se sostenuto: - da un adeguato piano di investimenti per un ammontare, in cinque anni, di circa 100 miliardi di euro, finalizzato alla realizzazione di un efficace sistema infrastrutturale, per sanare così il divario quantitativo e qualitativo attuale rispetto ai paesi concorrenti; - da un aumento significativo dei consumi privati, attraverso la riduzione della pressione fiscale dei lavoratori dipendenti, dei pensionati, e dei lavoratori autonomi, purché(questi ultimi) con redditi dichiarati congruenti con i relativi piani di settore ed in linea con i riferimenti del redditometro; dalla riduzione del carico fiscale per le aziende, al fine di conseguire un abbassamento del costo del lavoro; - da un piano di recupero e salvaguardia del territorio e dell'ambiente, per una efficace protezione La comopetitività ed il futuro del Paese nell'economia globale 17 preventiva nel caso di calamità naturali; piano di interventi straordinari per la costruzione di nuovi asili e di nuovi nidi per la primissima infanzia, da realizzare soprattutto nelle regioni del centro-sud, che al momento presentano una situazione di carenza assolutamente patologica: solo il 30% del totale di questi edifici sono localizzati in dette aree; punto 3) perseguire con chiarezza l'esigenza: - di allineare, sino a farla coincidere, la normativa in materia di lavoro alla situazione in atto nei paesi concorrenti; - di passare dalla cultura antagonista, oggi prevalentemente vigente nel mondo del lavoro, a quella della condivisione di obiettivi e risultati; - di spostare la normativa che regolamenta gli aspetti retributiva dal livello unico nazionale al confronto diretto tra le parti, nella sede ove si svolge l'attività lavorativa- produttiva, si realizzano le efficienze, si crea il fatturato. In sostanza bisogna allineare il costo del lavoro per unità di prodotto(CLUP) del nostro Paese ai valori della concorrenza mondiale. Un intervento speciale va riservato al problema dell'occupazione femminile e giovanile. Per alleviare questa situazione drammatica, potrebbe essere utile consentire alle aziende che concedono l'opzione del lavoro a domicilio a donne con bambini di età sino a sei anni, la riduzione del 50% degli oneri fiscali di competenza. Per i giovani neoassunti di età inferiore a 30 anni si dovrebbe prevedere un'esenzione totale del peso fiscale per cinque anni, purché l'azienda interessata non risolva il contratto di lavoro per almeno altri cinque anni. In sintesi conclusiva, bisogna affermare una nuova visione del" modus operandi" dell'Italia, e cioè: produttività, efficienza, flessibilità devono necessariamente rappresentare le coordinate di riferimento dell'azione quotidiana dell'attività pubblica, del sistema produttivo, del comportamento sociale. La produttività deve essere l'obiettivo da conseguire, l'efficienza deve essere il modo per conseguirlo, la flessibilità deve essere il metodo ordinario, non eccezionale, di svolgimento del lavoro. 18 Consiglio Nazionale Pri - Roma, 30 novembre / 1 dicembre Consiglio Nazionale Pri - Roma, 30 novembre / 1 dicembre 19 IL CONTO ECONOMICO DELL'ITALIA ED IL MACIGNO DEL DEBITO NAZIONALE 20 Consiglio Nazionale Pri - Roma, 30 novembre / 1 dicembre Il conto economico dell'Italia ed il macigno del debito pubblico 21 1) Dalla nuova Caporetto economica al Risorgimento Nel decennio 2002-2011 i conti pubblici dell'Italia hanno subito una vera e propria catastrofe, solo in parte dovuta alla grave crisi finanziaria innescata dagli USA nel 2009, e, in modo più consistente, alle problematiche endemiche e strutturali del nostro Paese. L'incidenza della spesa pubblica sul Pil, al netto degli interessi, è passata dal 41,6% all'45,6%, con un incremento di quattro punti. Su tale incremento non ha affatto influito la crisi finanziaria, che anzi forse ha imposto un intervento di contenimento; alla fine del 2009, infatti, l'incidenza della spesa era pari al 47,8%. L'incidenza del totale delle entrate, nel decennio, è passata dal 44,1% al 46,6%; conseguentemente la pressione fiscale si è incrementata di due punti (dal 40,5% al 42,5%). Anche per queste componenti, gli effetti della crisi non sono stati di grande influenza; infatti alla fine del 2009 il totale delle entrate si attestava al 47,1% del Pil (rispetto al 46,6% del 2011) e la pressione fiscale al 43,0%(42,5% nel 2011). Il picco raggiunto dall'incidenza dell'indebitamento netto sul Pil (il deficit dell'anno) nel 2009, pari al 5,4%, raddoppiato rispetto al 2008 (era stato pari al 2,7%), è dovuto essenzialmente all'esplosione della spesa, dal momento che le entrate (che avrebbero potuto risentire della crisi) hanno registrato un incremento del incidenza sul Pil dello 0,5% rispetto all'anno precedente. La considerazione che si può trarre è che sistematicamente si è registrata una continua crescita della spesa, a cui si è fatto fronte con il continuo incremento delle imposte e dei contributi sociali, cioè della pressione fiscale. 2) Una terapia efficace e credibile Il conseguimento strategico del pareggio di bilancio è un obiettivo prioritario ed irrinunciabile; è la condizione essenziale per rendere possibile ogni aspettativa e prospettiva di crescita sociale, economica ed occupazionale del Paese. Questo risultato può essere conseguito, reso credibile e stabile se si concretizzano due condizioni: una situazione di crescita complessiva del sistema economico ed una drastica riduzione della spesa pubblica. La condizione prima per la crescita risiede in un significativo rilancio del sistema competitivo dell'Italia, che creando nuova occupazione e nuova ricchezza genera un rilancio degli investimenti e dei consumi interni, nonché delle esportazioni, e quindi del Pil. Verranno riprese in un successivo apposito paragrafo le proposte già formulate dal Pri nella tesi programmatica per il rilancio della competitività. Sarebbe del tutto illusoria e fuorviante ogni aspettativa fondata su una politica di spesa pubblica o pseudo keynesiana, che ha già dimostrato, nel ventennio trascorso, la totale inefficacia, e che anzi ha determinato, essa, la situazione negativa in atto. Di conseguenza la questione che si pone oggi è come intervenire e con quali strumenti per incidere significativamente sulla spesa pubblica, per ridurla in modo consistente sia in valore assoluto che come incidenza sul Pil. Peraltro, la riduzione della spesa pubblica è la sola strada percorribile per liberare risorse finanziarie da destinare al decremento significativo della pressione fiscale sui contribuenti in regola, sul lavoro, sulle aziende. I risultati conseguiti dal governo attraverso la spending-review sono stati positivi, ma certamente non significativi e tanto meno risolutivi; anzi le indicazioni contenute nel Documento di Economia e Finanza (DEF) 2012, evidenziano alla fine del 2015 un inaccettabile ulteriore crescita della spesa primaria, elemento questo che certifica l'inefficacia delle terapie programmate. Infatti, il problema non si risolve cercando di ridurre le poste di spesa di qualche capitolo di bilancio dello Stato; bensì ripensando ex novo, attraverso la tecnica dello"Zero based budget", una nuova ipotesi e struttura del documento contabile nazionale, che abbia, quindi, come presupposto la drastica riduzione del perimetro di competenza ed operatività della pubblica amministrazione in senso lato; non più basata sulle opzioni del principio di sussidiarietà, del tutto inefficaci dal punto di vista della riduzione della spesa pubblica ,comportando esclusivamente uno spostamento della stessa tra soggetti pubblici,e quindi a saldi invariati. 22 Il conto economico dell'Italia ed il macigno del debito pubblico Solo attraverso questa revisione, che potrà anche comportare spostamenti di competenze e funzioni dalla sfera pubblica a quella privata, si potranno conseguire riduzioni di spese di gestione, l'eliminazione di balzelli vari, e l'insorgenza di nuovi rapporti tra soggetti privati,in precedenza instaurati con l'amministrazione pubblica. Solo dopo tale azione" chirurgica" iniziale, risulterà efficace, concreta ed incisiva l'applicazione sistematica della spending-review. Il taglio della spesa non significa automaticamente penalizzare i servizi offerti alla collettività, ma anzi, se efficacemente attivato,potrà consentire, addirittura,attraverso l'eliminazione degli sprechi e delle inefficienze la riqualificazione delle prestazioni, come è avvenuto in Germania nel decennio trascorso. 3) Vincere la battaglia del debito pubblico è possibile. Il debito pubblico è il grosso macigno che può far precipitare l'Italia nella voragine dell'avvitamento finanziario, che travolge tutto e tutti. Grazie ai tempestivi, duri (a volte brutali), ma inevitabili gravosi provvedimenti assunti dal presidente Monti, il Paese, avendo sfiorato il baratro, è oggi attestato su un instabile terrapieno, dal quale è possibile partire per raggiungere un punto di sicurezza e di prospettiva. Servono, però, provvedimenti strutturali, razionali , innovativi ed incisivi, supportati anche da una convinta volontà politica, viste le drammatiche condizioni di partenza. L'ammontare del debito, al momento, si attesta a circa 1990 miliardi di euro, pari ad oltre il 126% del Pil. Purtroppo il protrarsi della situazione di recessione in atto non consente di ottenere un miglioramento, sia in termini di riduzione del valore assoluto che di incidenza percentuale. Infatti il trend del Pil sarà negativo nel 2013 (-0,5%) e sostanzialmente invariato nel 2014 (+0,5%). Ma la possibilità di attivare, oltre ai provvedimenti in precedenza indicati (taglio della spesa pubblica, sviluppo e crescita) per conseguire il pareggio del bilancio dello Stato, sono ipotizzabili ulteriori interventi originali ed efficaci, facendo leva sul patrimonio mobiliare ed immobiliare dello Stato e degli Enti locali, i quali ultimi hanno una non trascurabile responsabilità nella creazione del debito pubblico. Bisogna in sostanza apportare in un fondo speciale di investimenti(appositamente costituito), attraverso un provvedimento legislativo eccezionale ed immediato (un decreto legge) tutti i beni patrimoniali in questione. La gestione di detto fondo, da affidare attraverso un bando pubblico internazionale ad operatori particolarmente esperti in materia, deve conseguire l'obiettivo, propedeutico, di una ristrutturazione e rivalutazione del patrimonio stesso; per arrivare in tempi successivi, ed in condizioni di congiuntura economica e di mercato più favorevoli, allo smobilizzo dei beni ed al rimborso delle quote sottoscritte. Ai detentori, inoltre, dovrà essere riconosciuta un'integrazione finanziaria pari al 50% dell'eventuale plusvalenza, rispetto ai valori iniziali di apporto, conseguita attraverso la ristrutturazione, la valorizzazione e la vendita dei beni del fondo. Dalla data di sottoscrizione delle quote sino al momento del rimborso verrà corrisposta ai sottoscrittori una remunerazione del capitale investito pari al tasso di inflazione annuo, maggiorato dello 0,5%. L'emissione delle quote di fondo verrebbe, in via prioritaria, riservata ai detentori di titoli del debito pubblico italiano,con conversione degli stessi in quote del fondo. Si otterrebbe, così, il risultato di abbattere in modo consistente l'ammontare del debito, con effetti più immediati rispetto alle ipotesi di vendita per quote annuali dei cespiti di proprietà dello Stato, oltretutto in una situazione in atto oggettivamente molto complessa e penalizzante. Consiglio Nazionale Pri - Roma, 30 novembre / 1 dicembre 23 IL SISTEMA PRODUTTIVO ITALIANO: LA CRISI E LE PROSPETTIVE 24 Consiglio Nazionale Pri - Roma, 30 novembre / 1 dicembre Il sistema produttivo italiano: la crisi e le prospettive 25 La crisi mondiale, tuttora attiva, ha colpito il sistema produttivo nazionale mentre era in atto una fase di profonda, ancorchè parziale, ristrutturazione e stavano già manifestandosi i primi effetti positivi. Infatti alla fine del 2008, l'Italia si confermava la quinta potenza industriale, con il 3,9% della produzione manifatturiera mondiale. Era preceduta dalla Germania (quarta) con il suo 6,5%, ma superava la Francia (settima) con il 3,6% ed il Regno Unito (decimo) con il 2,3%. Il processo di ristrutturazione, peraltro un intervento che ciclicamente (quindi fisiologicamente) coinvolge i sistemi produttivi nei paesi ad economia industriale sviluppata, si rendeva necessario in Italia, in quanto già a partire dai primi anni di questo secolo è andata radicalmente cambiando la composizione geografica dell'industria mondiale, con effetti di ricaduta negativa sull'Europa e quindi sull'Italia. Va evidenziato, a tal proposito, che nel quadriennio 2007-2010, l'insieme dei cosiddetti paesi emergenti asiatici ha incrementato la propria quota di produzione mondiale di circa nove punti, di cui oltre il 7% dalla sola Cina. In questo scenario di impetuoso e vertiginoso cambiamento, si è abbattuto lo "tsunami" della crisi, che da finanziaria è diventata poi economica, ed ha finito per incidere in modo dirompente sui sistemi produttivi, a causa della forte recessione abbattutasi nei vari paesi. Il sistema produttivo italiano ha pagato e sta pagando un prezzo più alto, in quanto subisce, oltre agli effetti pieni della recessione e della crisi (come gli altri), anche le conseguenze di una situazione di bassa competitività, che come già detto, induce una maggiore accentuazione delle negatività, ed imprime un'inerzia maggiore nella fase di rilancio e di crescita, ritardandone la ripresa. La sommatoria degli effetti congiunti (crisi e competitività) ha fatto sì che l'Italia ha dovuto registrare una drastica e pesante riduzione dei valori degli scambi internazionali di prodotti manifatturiero, passando da circa 63 miliardi di euro del 2008 a circa 42 miliardi nel 2011. Una ricerca (Bugamelli ed altri) ha dimostrato che le aziende che avevano effettuato una ristrutturazione prima dell'esplosione della crisi, completando il percorso di recupero di competitività, hanno subito in misura molto più contenuta i riflessi negativi, con impatti attutiti sul fatturato, sulle esportazioni, sulla redditività. La domanda da porsi, allora, può essere: quale è al momento lo status complessivo del sistema produttivo nazionale? Ed in particolare a che punto è la situazione di quelle aziende in ritardo nelprocesso di ristrutturazione e di recupero di competitività ? Al momento, potrebbero anche essere a rischio di sopravvivenza, quindi potrebbero soccombere perché non in grado di reggere l'urto della crisi, e non avere la possibilità di intraprendere un costoso e faticoso processo di ristrutturazione, a causa della loro probabile marginalità, in termini di prodotto, presenza sui mercati, innovazione e ricerca. La dicotomia prima illustrata tra le due situazioni, si concretizza in modo accentuato soprattutto in una dimensione geografica del paese: al Nord un complesso di aziende, specializzate nella meccanica, della componentistica di precisione, ed in parte nella chimica e nella farmaceutica, in grado di competere con le realtà europee più avanzati, quelle centro-settentrionali; nel mezzogiorno quelle a più bassa produttività, che subiscono inesorabilmente la concorrenza dei paesi emergenti asiatici, ma anche quella dei paesi del sud e dell'est europeo. La drammatica situazione del Sulcis della Sardegna, in uno stato ormai di totale deindustrializzazione, e delle strutture produttive della Campania e delle Puglie, le due regioni da sempre meglio attrezzate dal punto di vista industriale, sono diretta conseguenza della situazione di ritardo e di inadeguatezza nel processo di rinnovamento ed ammodernamento produttivo e tecnologico. Nel contempo, bisogna anche concentrare l'attenzione sul problema dei "distretti industriali". Essi sono stati certamente fattore determinante per la crescita dell'economia italiana nell'ultimo trentennio. Infatti in un contesto in cui le piccole aziende (oltre il 90% del totale) rappresentavano una realtà produttiva fondamentale, i distretti garantivano un'elevata flessibilità, consentivano di sviluppare le innovazioni di processo, la presenza nei mercati internazionali; e nel contempo supplivano alla ridotta capacità di realizzare economie di scala da parte di queste aziende che, per le loro dimensioni, non potevano autonomamente conseguire. Negli anni più recenti, tuttavia, il cosiddetto effetto distretto si 26 Il sistema produttivo italiano: la crisi e le prospettive è certamente attenuato, se non del tutto consumato. Al contempo, anche nei distretti, come in tutta l'industria italiana, sono in atto significative trasformazioni, che coinvolgono i rapporti tra le imprese, la differenziazione delle loro strategie, l'equilibrio tra localismi ed aperture internazionali. L'ultimo" scenario industriale" reso noto dal centro studi di Confindustria (giugno 2012) indica una situazione di forte appesantimento per il sistema produttivo italiano, che ha perso ben quattro posizioni nella scala mondiale, collocandosi all'ottavo posto, rispetto al quarto che occupava nel 2010. La difficoltà in atto è anche figlia della grave crisi dei consumi interni, che presentano, ormai da circa due anni, un continuo e costante decremento, che non consente alle aziende di sviluppare i livelli produttivi in linea con le potenzialità degli impianti; gli effetti conseguenti sono che le vendite ridotte incidono negativamente sui margini di redditività, riducendo in modo consistente l'autofinanziamento. Ne deriva che la maggior parte delle aziende non dispone di risorse finanziarie adeguate per sostenere la normale attività ordinaria di produzione e di commercializzazione, e devono ricorrere al sistema bancario per reperire i mezzi necessari; non per sostenere nuovi progetti di investimento, come in un certo limite sarebbe fisiologico, ma per vivere la quotidianità. Da ciò. La polemica in atto per la politica del credito messo in atto dagli istituti bancari. Tutti questi elementi messi insieme non hanno fatto altro che accentuare una criticità caratteristica del nostro sistema industriale: la bassa produttività, e quindi la ridotta redditività. Come è stato ampiamente illustrato in una delle tesi programmatiche del Pri, indipendentemente dalla crisi in atto, le imprese italiane, nel confronto internazionale, presentano rilevanti elementi di fragilità dal punto di vista economico-finanziario, che ora di seguito vengono riepilogati in estrema sintesi: - minore capacità di produrre flussi di reddito dalla gestione operativa, anche in presenza di una consistente crescita del fatturato, come avveniva sino al 2007; - fragilità finanziaria rispetto alle aziende del sistema della concorrenza europea, evidenziata dall'elevato numero di imprese che presentano valori particolarmente critici (al di sotto della media) dei più significativi indicatori finanziari; - incidenza degli oneri finanziari alquanto superiore ai valori medi dei sistemi industriali avanzati, che erodono le risorse da destinare a remunerazione del capitale investito; - basso livello di capitalizzazione, per cui i mezzi propri riescono a coprire molto meno del 50% degli impieghi, da cui la necessità di ricorrere al debito a breve termine (in modo strutturale) per finanziare il capitale circolante: con la ovvia conseguenza della forte dipendenza costante (e non contingente ) dal sistema bancario.E' proprio l'incontrario di quanto avviene nei paesi con buon livello di competitività. Tutte le considerazioni fin qui svolte danno contezza del perché l'Italia, nell'ultimo triennio, ha subito un forte tasso di decremento dell'attività produttiva, che con il -17% ha registrato di gran lunga la peggiore performance (dopo la Spagna) rispetto ai più diretti concorrenti. Pur tuttavia, il nostro paese rimane ad alta vocazione industriale; nonostante tutto, è ancora il secondo nell'unione europea. E' nelle aziende manifatturiere che si realizza la parte più significativa e consistente dell'innovazione, che poi trova anche ricadute in altri settori produttivi. E' dall'esportazione prodotta da queste attività che si realizza il 78% delle risorse finanziarie, che servono per pagare le importazioni di materie prime e di prodotti energetici. Il dato significativo, che riassume il tutto, è rappresentato dal fatto che oltre il 33% del Pil nazionale viene realizzato dall'industria manifatturiera: è per questo che il Paese deve riservare la massima attenzione alle situazioni in atto ed alle prospettive del settore. Purtroppo, molto spesso non si è tenuta, da parte della classe di governo a tutti i livelli, nella giusta considerazione la problematica connessa. La conseguenza è stata che l'Italia, insieme all'Inghilterra, ha subito in modo più accentuato il fenomeno della delocalizzazione all'estero di significativi rami di produzione industriale. Né la Germania, né la Francia hanno dovuto registrare le dimensioni del fenomeno così com'è avvenuto nel nostro caso. Questi due paesi hanno, sostanzialmente, mantenuto stabile il corpo produttivo nazionale; ed hanno finalizzato gli insediamenti al di fuori dei confini agli Il sistema produttivo italiano: la crisi e le prospettive 27 interventi necessari a sostenere con vigore il processo di internazionalizzazione delle aziende. Il Pri considera essenziale il mantenimento degli attuali livelli produttivi industriali, e ritiene del tutto insostenibile l'idea che l'Italia possa sostituire al manifatturiero il turismo e/o il terziario. Sono queste attività importanti e, specialmente il turismo, di sicura prospettiva; ma senza produzione reale non ci può essere intenso sviluppo, innovazione, elevata occupazione, ricchezza. Un dato positivo,a tal proposito, è che l'Italia ha migliorato, pur se di poco (si è passati dall'87º posto al 73º), la graduatoria tra i paesi in cui è agevole fare impresa; ma certamente non può essere considerato un gran successo. Infatti l'Italia è ancora molto lontana dalle situazioni più virtuose di Francia e Germania. La città di Torino, la più efficiente in tal senso delle città italiane, impiega (835 giorni) più del doppio della media francese per il rilascio di autorizzazioni; e Milano, la più economica in termini di costi di avvio di un'impresa,ha comunque un rating triplo rispetto alla media europea. Per cercare di correggere queste anomalie, e per verificare la possibilità del rientro nei confini nazionali di quei rami di imprese che hanno subito la delocalizzazione , impoverendo così la nostra struttura occupazionale, e scaricando sulla comunità italiana i costi sociali conseguenti, sarebbe essenziale l'individuazione di una commissione per lo sviluppo industriale del Paese, con le caratteristiche della commissione per la programmazione nazionale ideata da Ugo La Malfa nel 1962; quindi con la composizione peculiare a suo tempo indicata dall'allora ministro del bilancio. La commissione ipotizzata dovrebbe indicare nuove, più efficaci e più tempestive procedure amministrative (e soggetti operativi) per la concessione di autorizzazioni, ed individuare provvedimenti ed interventi strutturali atti a conseguire l'allineamento del costo del lavoro per unità di prodotto (CLUP) ai valori riscontrati nei paesi nostri competitori, ed in particolare in Germania. 28 Consiglio Nazionale Pri - Roma, 30 novembre / 1 dicembre Consiglio Nazionale Pri - Roma, 30 novembre / 1 dicembre 29 NUOVO PATTO SOCIALE E SINDACATO 30 Consiglio Nazionale Pri - Roma, 30 novembre / 1 dicembre 28 Nuovo patto sociale e sindacato 31 Interrogarsi sul ruolo del sindacato è un tema che i repubblicani sentono al pari di come avvertono la necessità di attuare una radicale riforma dei partiti politici e per entrambi ritengono improrogabile l'attuazione degli articoli 39 e 49 della Costituzione. La crisi dei sindacati si intreccia con la crisi dei partiti. Una crisi che investe i nuovi ceti sociali, gli emergenti, i lavoratori precari e i giovani in età lavorativa. L'indebolimento del sindacato è visto con preoccupazione dai repubblicani, consapevoli che si tratta di una componente insostituibile e irrinunciabile della società moderna, necessaria a contrastare i fermenti di una democrazia spontanea che prende corpo dalla disgregazione dei partiti e dalla formazione di movimenti non tutti in linea con il dettato costituzionale. Sotto il profilo della rappresentatività e credibilità politica, non appare più soddisfacente l'immagine che oggi il sindacato offre di sè: a deteriorarla è intervenuta una serie di concause fra le quali primeggiano le crisi economiche e sociali che hanno investito il paese, ma anche i non pochi problemi e i rilevanti errori in cui è caduto. Errori di strategia e di valutazione che spesso hanno portato alla rottura dell'unità sindacale e ad una diversa interpretazione sulle azioni da intraprendere a difesa dell'occupazione e alla creazione di nuove opportunità per l'occupazione dei giovani e per il reinserimento nel mondo del lavoro dei lavoratori espulsi. La grande tradizione che ci lega al mondo del lavoro ci obbliga a comprendere, dopo la stagione dell' unità, perché il mondo del lavoro si trovi ad affrontare, con diverse politiche, la difesa del lavoro contrapponendo questo alle necessità dell'impresa, uscita indebolita dalla grave crisi economica internazionale. E' auspicabile che il mondo sindacale ritrovi una unità nel rinnovamento politico di cui avvertiamo l'esigenza. Quando parliamo di crisi della competitività, di carenza degli investimenti, di allarmante disoccupazione, di emarginazione dei giovani e del Mezzogiorno non possiamo non considerare tali problemi se non frutto di una politica debole in continua contrapposizione con il mondo del lavoro. Quest'ultimo, però, nel contempo non ha saputo offrire risposte adeguate alla debolezza politica e alla crisi economica troppo spesso arroccandosi dietro una trincea di benefici acquisiti che hanno, di fatto, impedito qualsivoglia rinnovamento. Noi riteniamo che occorra rinnovare il patto sociale quale strumento irrinunciabile di una politica economica in grado di meglio definire il ruolo di una società industriale globalizzata. Occorre, con coraggio, travalicare le frontiere della conservazione per individuare nuove strategie che sappiano coniugare una rinnovata solidarietà tra il mondo dell'impresa e del lavoro. Stabilità costruita sulle reali necessità dell'economia moderna e in grado di rendere percorribile la strada della flessibilità senza penalizzare quanti, ad oggi, vivono nel mondo del lavoro, consentendo alle nuove generazioni di accedervi con la certezza di trovare quelle giuste motivazioni che ne determinino, sul piano sociale e psicologico, la convinzione di essere attori di un processo di sviluppo che, in un rinnovato patto sociale, contempli le condizioni necessarie per una stabilità superando la logica del precariato. Riteniamo, pertanto, che il recente Accordo tra le parti sociali rappresenti un primo passo, non esaustivo, per ritrovare una nuova compattezza sindacale rappresentando la fonte per una riflessione costruttiva da cui partire per ridare spessore e rappresentatività a tutte le parti sociali. Se non è in discussione il principio della rappresentanza sindacale, questa, al pari di quella politica deve svilupparsi attraverso una classe sindacale in grado di percepire le trasformazioni in atto sia in sede europea che internazionale, agevolando la riconversione e il rafforzamento della maggior parte delle aziende italiane, le quali, nel contempo, devono saper offrire, sul piano sociale, una maggiore sensibilità verso la richiesta di una più puntuale responsabilità sia verso il mondo del lavoro che verso la società nel suo complesso. Sia il sindacato che il partito politico, verso il quale da parte del sindacato non può aprirsi una rinnovata stagione di commistione, hanno, in questo contesto, il dovere di fare un passo in dietro dall'economia consociativa, grazie alla quale, anche settori non di loro competenza, hanno visto rappresentanti di questi due mondi occupare posizioni di potere. 32 Nuovo patto sociale e sindacato Se il partito politico deve restare al di fuori dal mondo dell'economia reale, il sindacato, al contrario, deve saper operare affinché i lavoratori tornino ad occuparsi direttamente dello stabilimento in cui lavorano aprendo la strada ad una diversa e diretta partecipazione alla gestione dello stesso assumendosi direttamente nuove responsabilità. La stagione dei contratti, che restano una priorità dell'attività sindacale nel dare certezza al lavoratore, oggi non rappresentano l'unica fonte di interlocuzione con il mondo dell'impresa. Lavoro e impresa rappresentano due fondamentali pilastri di una democrazia rappresentativa e partecipativa la quale potrà stabilmente evolversi solo attraverso un nuovo patto sociale che sappia individuare, con costanza e lungimiranza, politiche sociali in grado di anticipare le crisi cicliche dell'economia globale da cui non è più possibile prescindere. La flessibilità che noi intendiamo, non è il solo meccanismo regolatore del lavoro o dell'impresa, è un metodo che deve condurci ad evitare periodiche crisi economiche sapendo individuare risposte adeguate da offrire ai cittadini per la stabilità del Paese mantenendo in essere una giustizia sociale verso la quale tutti devono sentirsi impegnati con la consapevolezza che le difficoltà odierne potranno ancora ripetersi, ma nella certezza che, innovando il metodo e rinnovati i ruoli sanciti nel nuovo patto sociale, le soluzioni potranno divenire meno dolorose per i lavoratori e le imprese. Consiglio Nazionale Pri - Roma, 30 novembre / 1 dicembre 33 IL SISTEMA BANCARIO ITALIANO E LA PRESENZA DELLE "FONDAZIONI" 34 Consiglio Nazionale Pri - Roma, 30 novembre / 1 dicembre Il sistema bancario italiano e la presenza delle Fondazioni 35 Le condizioni storiche del sistema bancario italiano determinano una situazione paradossale rispetto alla crisi economica e finanziaria dei mercati mondiali. Infatti gli effetti negativi di tale crisi hanno colpito in misura più ridotta le banche italiane rispetto ai gravi e perversi effetti sui sistemi bancari dei paesi del mondo più avanzato, coinvolti nelle continue e persistenti turbolenze. La ragione di tale condizione meno pressante è determinata proprio dall'arretratezza della struttura degli attuali istituti di credito, divenuti impresa nel mercato dopo decenni di gestione statalistica e dirigistica; condizione nata in genere dopo le gravi crisi finanziarie che hanno colpito anche l'Italia nel 1929 e negli anni seguenti. Questo tipo di gestione dirigista e burocratica ha negli anni -e perlomeno sino alle prime riforme parzialmente liberalizzatrice degli anni 80-generato un modello di struttura e di amministrazione bancaria fondata sui rapporti e collegamenti con la politica ed i partiti, per nulla attento ai processi ed agli stimoli dei mercati e dell'economia e gestito secondo criteri di aumenti quantitativi, avulsi dai risultati reali dei costi economici e del valore del merito e della iniziativa d'impresa. Questa situazione di scadente presenza attiva sui mercati nazionali ed internazionali ha anche determinato la prevalenza di un management legato agli ambienti politici, poco incline alla concorrenza ed alla iniziativa internazionale, incapace di andare oltre la visione e le relazioni domestiche. Anche la cultura e le competenze della gestione hanno negativamente risentito degli effetti del modello prevalente determinando, quindi, anche atteggiamenti poco inclini all'intrapresa, al rischio e alla creazione di occasioni di impiego e di investimento. Purtroppo la liberalizzazione ed il parziale ritorno alle logiche di mercato è avvenuto attraverso l'invenzione e la creazione delle nuove entità chiamate" Fondazioni Bancarie", che , comunque, hanno in parte ricreato un modello non completamente e direttamente di mercato; immettendo nella titolarità e nella struttura proprietaria delle banche questi "Organismi" ambigui e poco inclini e disposti a rappresentare una vera e sana gestione imprenditoriale e concorrenziale, secondo le caratteristiche dei sistemi bancari del mondo occidentale e delle società industriali avanzate. Una rilevante ipoteca sul corretto funzionamento in termini di finanza e di patrimonio è, comunque, presente nell'ambiguo rapporto tra" Fondazioni" e gli istituti bancari detenuti, sia per gli incroci politici inevitabili che emergono nelle nomine e nelle strategie operative, sia per l'origine e la struttura stessa dell'Organo Fondazione che segue logiche copertamente politiche ed in parte partitiche nell'organizzazione e nella conduzione interna. Dopo le riforme degli anni 80, il sistema bancario italiano si è dovuto giocoforza immettere nei rapidi ed innovativi processi della globalizzazione, le cui dinamiche hanno avuto una forte prevalenza di incidenza nel nuovo e più competitivo quadro dei rapporti finanziari e bancari del mondo alla fine del secondo millennio. Due elementi fondamentali sono sempre più emersi nella conduzione e nel ruolo delle istituzioni bancarie e finanziarie nel nuovo quadro della presenza e competizione internazionale: i servizi ed il capitale. I sistemi bancari più dinamici, infatti, hanno determinato una fortissima spinta alla funzione di prestazione di servizi finanziari e di supporto forniti alle imprese, ma anche alla clientela ordinaria e financo alle organizzazioni governative, statali e locali . Ormai da anni i profitti netti ed i risultati in termini di competizione e di presenza attiva su tutti i mercati si acquisiscono per mezzo della realizzazione e prestazioni di servizi e di attività nei settori di predisposizione di sistemi e tecniche di finanziamento e nella sofisticata gestione della allocazione dei flussi monetari e di risorse, circolanti sui mercati alla velocità elettronica e digitale. Il secondo elemento riguarda la consistenza e l'incremento del capitale proprio o, comunque, dei partecipanti all'impresa bancaria. Si sostiene da tempo, anche secondo le teorie dell'economia dei sistemi bancari e secondo esperienze empiriche diffuse, che una forte immissione di capitale proprio nell'azienda bancaria determina condizioni di stabilità e consente di rispondere alle dinamiche spesso turbolenti dell'attività bancaria e finanziaria sui mercati divenuti aperti, interconnessi e fortemente competitivi, difendendosi meglio dai rischi e dalle avverse condizioni di eventuali crisi. In questi ultimi anni sia le Banche Centrali Nazionali che la Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI) hanno studiato e promosso una serie di regole a valenza europea 36 Il sistema bancario italiano e la presenza delle Fondazioni che impongono alle banche il rafforzamento di sistemi prudenziali di sicurezza, in grado di tutelare questi istituti dalle difficoltà dei mercati e dai crescenti rischi sistemici, ormai diffusi in tutto il mondo; anche per effetto delle connessioni ed interferenze determinate dalla globalizzazione, non solo delle attività finanziarie e bancarie, ma soprattutto della diffusione ed ampliamento di tutte le attività di produzione di beni e servizi, che ormai interessano aree crescenti del mondo, divenute anch'esse a forte capacità industriale e produttiva, come ad esempio la Cina, l'India il sud est asiatico ed i paesi dell'America Latina. Sono state introdotte , quindi, le regole ed i parametri dettati da Basilea 1, Basilea 2 e Basilea3 che negli ultimi due decenni, gradualmente, hanno previsto l'applicazione di misure prudenziali basate principalmente sulla consistenza del patrimonio delle banche e sugli equilibri di liquidità, per rispondere a crisi improvvise e di caduta delle risorse acquisibili con i flussi di depositi. Contestualmente va però affermato che di fronte a crisi sistemiche di livello mondiale, come quella che ancora il mondo sopporta, il patrimonio proprio facilmente si dimostra incapace di sopportare gli effetti devastanti della rapida scomparsa della liquidità dai mercati e dagli operatori, poiché anche nei casi di rilevante capitale proprio (la media di capitale bancario del mondo occidentale si aggira tra il 5% ed il 9% delle attività gestite, misurate secondo la ponderazione dettata dalle autorità monetarie, sostanzialmente dalla BRI ), nel corso delle recenti turbolenze di quasi tutti i mercati, tale parametro non ha evitato gravi deterioramenti di molte imprese bancarie e finanziarie, sino ad arrivare a situazioni di vero e proprio default delle strutture, con il conseguente fallimento di fatto degli istituti, molti dei quali salvati solo dalla nazionalizzazione o dalla massiccia immissione di mezzi monetari da parte dei governi. Di conseguenza la strada migliore per la tutela effettiva dei sistemi bancari dalle ricorrenti crisi si palesa il secondo punto proposto dalle regole di Basilea 3, e cioè l'apprestamento di effettive e reali riserve di liquidità, secondo i sistemi cosiddetti del "Liquidity Coverage Ratio" con la costituzione di uno "Stock di risorse liquide" che consenta di superare autonomamente un forte deflusso di fondi, evitando al massimo il ricorso alla Banca Centrale ed al mercato. Si è già detto della debolezza storica delle strutture del sistema bancario italiano e della fragilità della sua organizzazione di "government" societario ed azionario, con un management spesso connesso ,o in rapporti con fazioni o potentati politici/partitici. Di fronte a tali persistenti condizioni, si propongono interventi di revisione delle disposizioni in materia di organizzazione e governo societario delle banche, che realizzino ampie e concrete semplificazioni ,anche dei criteri che sono stati introdotti dalle miniforme societarie dell'ultimo decennio ,e quindi l'eliminazione di costruzioni complesse di tipo piramidale e burocratico, abolendo, ad esempio, il sistema di governo societario cosiddetto "dualistico", rivelatosi confuso e fonte di attriti, sovrapposizioni e gravi disfunzioni nella gestione della banca; nonché quello che delega ad una parte degli stessi amministratori il compito di sorveglianza e vigilanza ,prima demandato al Collegio sindacale, creando così, nella stessa categoria e sede decisionale, gravi contrapposizioni e contrasti operativi e funzionali . Le strutture bancarie di governo e di direzione vanno semplificate e ridotte, sia nel numero dei consiglieri che dei livelli decisionali a piramide e, soprattutto, nei criteri di selezione, che devono essere fondati sulla competenza e la indipendenza, con un numero di mandati agli amministratori definito , limitato e trasparente. Esse vanno liberate dalle connessioni ed interferenze esterne, anche di carattere politico/partitico, obiettivo che si ottiene soprattutto -ma non solo -eliminando la struttura spuria ed inutile delle" Fondazioni", con provvedimenti che determinino lo smontaggio di tali oscure ed ambigue architetture, facendo ritornare direttamente la titolarità e la gestione delle istituzioni bancarie a dei veri azionisti o ad imprese ed imprenditori della finanza, sotto la vigilanza della Banca d'Italia e della Banca centrale europea, che si appresta, quest'ultima, ad organizzare, finalmente, un sistema di vigilanza continentale sui sistemi bancari e finanziari. Sarebbero così ripulite in Italia le scorie ed i residui dei criteri e logiche obsolete, legati a centri di potere burocratico, partitico ,o a potentati, portatori di interessi particolari. La strategia della politica delle banche deve orientarsi su due direttrici strategiche, a cui dovrebbe esIl sistema bancario italiano e la presenza delle Fondazioni 37 sere interessato anche il governo del Paese; senza disastrose interferenze o tentativi di influenza, e rifiutando logiche e criteri dirigistici fuori dal tempo: la prima dovrebbe essere orientata all'internazionalizzazione delle imprese e delle attività produttive, la seconda strategia dovrebbe puntare all'aumento dimensionale delle singole imprese. Per quanto riguarda il primo punto, la ridotte dimensioni delle aziende, i mercati domestici piuttosto ristretti e condizionati dalla burocrazia e dalle imposte, gli asfittici mercati borsistici sono, nello stesso momento, causa ed effetto della scarsa propensione allo sviluppo internazionale delle imprese; condizione questa che potrebbe essere, invece, fortemente avvantaggiata da una attività bancarie di supporto intelligente, agile ed aperta alla valutazione del merito e della fiducia, non fondata solo, come ora,sulle garanzie collaterali immobiliari e mobiliari ampie, ricorrenti e distruttive, come invece avviene, ad esempio, nell'attività bancaria degli Stati Uniti. Lo strumento bancario, in tutti i paesi avanzati dell'Occidente, è stato da sempre il motore della diffusione ed espansione dell'attività sull'estero di tutte le imprese. In relazione al secondo punto, Il tessuto produttivo delle imprese italiane è da sempre caratterizzato da un'eccessiva frammentazione, pur presentando tale condizione anche caratteristiche positive, per alcuni aspetti favorevoli, specie nella difesa dalle crisi e dalle difficoltà. Ma essa non può a lungo costituire la frontiera della nostra economia di fronte , a fronte di un mondo dell'economia, della finanza e della tecnologia che avanza, innova e conquista , sia pur tra molte difficoltà, spazi di benessere, di conoscenza e di cultura, senza dimenticare l'allungamento positivo della vita attiva dell'uomo. Uno dei motivi principali dell'arretratezza dimensionale è determinato dalla sciagurata normativa sul lavoro, e dalle relazioni industriali, che impediscono alle imprese con più di quindici addetti la libertà nella organizzazioni della produzione e degli investimenti, con la delega, di fatto e di diritto, alla magistratura ed ai tribunali sull'uscita ed entrata di personale, anche in caso di manifesta debolezza dell'impresa. Queste strategie dovrebbero caratterizzare un Paese di industrializzazione avanzata,come l'Italia, che vuole partecipare, con tutta la sua potenzialità di quinta potenza, al consesso dell'economia mondiale. La pesante crisi che il mondo ha subito non solo non è affatto risolta; ma per alcuni importanti aspetti si aggrava nei paesi dell'area euro, ed in particolare in quelli con basso livello di competitività, come l'Italia. E si aggrava non sul piano delle attività finanziarie nazionali e internazionali, sulla gestione delle dinamiche monetarie e bancarie, ma arretra e si deteriora sul piano della produzione e distribuzione dei beni e dei servizi reali, con le gravi conseguenze in termini di disoccupazione, recessione e di impoverimento. Il sistema bancario italiano, se reso moderno, efficiente e strategico con gli opportuni provvedimenti e interventi, potrebbe svolgere un importante ruolo nella ripresa del sistema Italia, aiutando, supportando e affiancando con intelligenza e lungimiranza il fondamentale sistema delle imprese. 38 Consiglio Nazionale Pri - Roma, 30 novembre / 1 dicembre Consiglio Nazionale Pri - Roma, 30 novembre / 1 dicembre 39 UN SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE PER I CITTADINI 40 Consiglio Nazionale Pri - Roma, 30 novembre / 1 dicembre Un servizio sanitario nazionale per i cittadini 41 1). Colmiamo la distanza tra obiettivo e realtà Sono trascorsi trent'anni da quando il Parlamento decise, in modo bipartisan, la creazione del sistema sanitario nazionale. Si disse che bisognava dare piena attuazione al dettato costituzionale che indicava l'esigenza primaria di assicurare a tutti cittadini la tutela della salute. Si ritenne, giustamente, che il sistema vigente, fondato sulle mutue, dovesse essere eliminato perché ritenuto iniquo a causa delle grandi differenze di prestazioni fornite, in relazione alla categoria professionale di appartenenza, e quindi alla propria mutualità. Si ritenne, ancora, che l'evoluzione demografica, positiva, che registrava una continua e costante crescita dell'aspettativa di vita delle persone avrebbe richiesto la messa a punto di ulteriori specifici programmi di assistenza sanitaria, finalizzati ai problemi dell'età più adulta. Il giudizio più appropriato che si può esprimere sull'azione svolta fino ad ora può essere sicuramente: giusto l'intento, ancora lontana la meta, dissipate ingenti risorse finanziarie. Infatti la disuguaglianza iniziale tra le categorie professionali si è trasformata, accentuandosi, in diversità all'interno delle articolazioni geografiche del Paese; creando una situazione duale tra regioni con standard di prestazioni adeguate e regioni con gravi carenze di qualità e di funzionalità dei servizi offerti. A ciò è da aggiungere la grave crisi finanziaria che investe il settore sanitario, e che diventa ancora più acuta nelle regioni nelle quali più accentuata é la insufficienza nella qualità e nella funzionalità. Sembrerebbe un paradosso, ma è proprio così! Le risorse finanziarie assorbite dal sistema sanitario ammontano ad oltre 110 miliardi di euro l'anno (oltre il 6% del Pil); somma certamente importante e consistente per il bilancio nazionale, che deve scontare un peso finanziario notevole rappresentato dagli interessi passivi sul debito pubblico, e dagli impegni alquanto onerosi per le prestazioni previdenziali, che concorrono ad esercitano un vincolo restrittivo su ogni possibile politica espansiva di bilancio. Da ciò la lieve differenza dell'incidenza sul Pil delle risorse finanziarie destinate ai rispettivi servizi sanitari da altri paesi europei, rispetto ai dati dell'Italia. Nel periodo che va dal 1995 al 2010, la spesa complessiva si è incrementata con una media annua del 5,2%, di cui il 3,5 è andato a coprire gli incrementi dei costi (aumentati oltre il tasso di inflazione corrente), e solo il restante 1,7% per coprire un aumento di prestazioni. Inoltre, un grave pericolo incombe sulle unità sanitarie locali (e quindi sulle regioni), ed è rappresentato dai debiti emersi ed occulti che gravano sulla gestione della sanità e che hanno già posto alcune regioni, essenzialmente del sud, in una situazione di default, con il conseguente commissariamento operato dal Governo e finalizzato al risanamento. L'aver attribuito ai presidenti delle rispettive giunte tale incarico non sembra la soluzione più efficace. Bisogna, invece, affidare tale competenza straordinaria a personalità esterne, con elevato profilo tecnico-professionali, come è avvenuto nel Lazio, a seguito delle dimissioni della presidente Polverini. Stante l'assoluta impossibilità di disporre di risorse finanziarie aggiuntive, il risanamento, il rilancio e la sostenibilità del sistema sanitario vanno conseguiti attraverso un articolato ed incisivo percorso di riforme strutturali, che possano incidere sui gravissimi problemi della sanità pubblica, intervenendo sullo squilibrio nelle prestazioni erogate, sul dissesto finanziario, sulle gravi anomalie gestionali, realizzando così un effettivo sistema sanitario nazionale, che superi l'attuale situazione di localismo e di settarismo, che non producono altro che danni ai cittadini utenti, in un momento ed in una situazione particolarmente delicata della propria vita. La prima e più significativa riforma strutturale, elaborata dal Pri, è finalizzata ad incidere positivamente sui sistemi finanziari delle regioni e sull'efficace gestione della rete ospedaliera ed ambulatoriale. Tale necessità scaturisce dal fatto che circa il 62% del totale della spesa viene assorbito dal complesso delle prestazioni riguardanti i ricoveri ospedalieri, gli accertamenti diagnostici e voci assimilate ,nelle strutture pubbliche. Rendere efficiente e razionalizzare questa imponente mole di risorse finanziarie vuol dire incidere 421 Un servizio sanitario nazionale per i cittadini una svolta epocale e significativa al sistema sanitario nazionale. La sostanza del progetto, in estrema sintesi, prefigura la cessione dei pacchetti azionari degli istituti ed aziende di credito che le fondazioni bancarie, al momento, detengono nel loro patrimonio. Le risorse finanziarie che entrerebbero in gioco potrebbero ammontare a circa 50 miliardi di euro (oltre tre punti di Pil), e potrebbero essere impiegati dalle fondazioni per l'acquisto delle strutture ospedaliere e di quelle ambulatoriali di proprietà delle varie regioni. Tale intervento dovrebbe avvenire secondo un preventivo piano nazionale di accorpamenti delle strutture in questione, al fine di realizzare " moduli " omogenei dal punto di vista finanziario; ma anche con un'importante possibilità di ottimizzazione gestionale dei moduli stessi, attraverso la messa in comune di risorse tecniche, know-how, esperienze professionali ed umane, elementi questi che consentirebbero un utilizzo intenso e più efficace rispetto agli attuali standard. Si conseguirebbero, con questa proposta, diversi obiettivi: intervenire in modo significativo sul pesante debito delle regioni, realizzare un sistema efficace ed economico di gestione della rete ospedaliera nazionale (con ricadute sul sistema sanitario nazionale); non ultimo spostare il raggio di azione delle fondazioni verso un campo più consono alle finalità sociali delle stesse, come, peraltro, avviene in tutti paesi occidentali. Inoltre, si darebbe attuazione alla normativa in atto che indica una graduale fuoriuscita delle fondazioni dal capitale delle banche. A questo punto, la corresponsione finanziaria a fronte delle prestazioni erogate dalle strutture sanitarie potrebbe avvenire, da parte del servizio sanitario stesso, attraverso la metodologia dei costi standard, che avrebbe, adesso si, una razionalità di impiego. Ovviamente manterrebbero uno status peculiare le strutture sanitarie universitarie e gli enti di ricerca. Una tale riforma strutturale consentirebbe l'obiettivo di promuovere un coinvolgimento responsabile degli operatori sanitari, fatto questo essenziale per conseguire nel sistema" produttivo" sanitario più efficienza e più qualità. Non a caso, al momento, una questione di prioritaria importanza riguarda la diffusa demotivazione del personale addetto, sul quale incombe la responsabilità gravosa dell'assistenza ai soggetti forse più vulnerabili (i malati). Il livellamento professionali in atto è causa di sconforto, disagio e disincentivo a migliorare e ad implementare un settore delicato, prioritario ed essenziale per un grande Paese. Alla fine di questo percorso, avremmo un sistema omogeneo ed equilibrato dal punto di vista delle prestazioni, e controllato adeguatamente negli aspetti dei costi e della struttura finanziaria. Consiglio Nazionale Pri - Roma, 30 novembre / 1 dicembre 43 NORD E SUD: IL PROBLEMA NAZIONALE 44 Consiglio Nazionale Pri - Roma, 30 novembre / 1 dicembre Nord e Sud: il problema nazionale 45 La Questione meridionale è strettamente collegata ai problemi di competitività internazionale del sistema industriale del Nord. Non vi è alcun dubbio che vi è una stretta connessione che lega l'arretratezza socio-economica del Mezzogiorno e la necessità di un sostegno all'apparato manifatturiero del Nord. Con la profonda differenza che il Sud è ancora privo delle infrastrutture primarie ed è, tuttora, alla ricerca di un modello di sviluppo che lo inserisca nei mercati internazionali. Non solo. Al Sud la disoccupazione dei giovani, che rappresentano il futuro del Paese, secondo le stime dello SVIMEZ, raggiunge livelli del 40% e le imprese soffrono di un nanismo che li taglia inesorabilmente fuori dalla competizione dei mercati. Mentre al Nord la questione si riassume nella necessità di riavviare il processo di crescita. L'incendio innescato, ormai più vent'anni fa, dalla Lega Nord, incendio che ha rischiato di incenerire le nostre istituzioni, di lacerare la stessa coscienza civile del paese, pare appena sopito. E', dunque, finita un epoca? E' presto per dirlo. Certamente un gran passo avanti è stato compiuto. Soprattutto c'è da compiacersi per il fatto che non si sia levato il solito coro di politologi e opinionisti a favore del nuovo leghismo: la costituzione della macroregione del Nord ricco e potente che, di fatto, si contrapporrebbe alla macroregione del Sud in cui convivono poche aree sviluppate e molte sub-regioni arretrate. Sorgerebbe un nuovo leghismo strisciante che, al Nord come al Sud, non si è mai sopito, soprattutto molto più pericoloso di quello sorto alla fine degli anni '80. Si ripropone, dunque, la domanda circa la Questione meridionale che i nuovi e troppi raggruppamenti politici, in via di formazione, dovrebbero porsi in modo serio, senza populismi e senza ricorrere a improponibili, vecchie e banali ricette assistenzialiste. Il primo aspetto che teniamo a sottolineare riguarda la preliminare necessità di riconsiderare il problema dello sviluppo del Sud come un problema di tutta l'Italia e, per tanti aspetti, dell'intera Europa. Non si tratta soltanto di solidarietà, anche se dovremmo di nuovo tutti imparare a considerare il solidarismo un valore fondamentale, vitale in momenti difficili come quello che stiamo attraversando. E' una questione di carattere politico ed economico generale. E' stata un'illusione pensare che la ricca Pianura Padana potesse svilupparsi da sola, prescindendo da un territorio importante, demograficamente, socialmente e culturalmente come il Sud d'Italia. D'altro canto qualcosa di analogo sta accadendo a livello europeo con la ricca Germania che sta entrando in recessione e, prima o poi, dovrà fare i conti con lo sviluppo e la crescita di quel grande mercato che è la cosiddetta area mediterranea. Questa presa di coscienza, individuale e collettiva, è fondamentale perché, se dovesse persistere il retropensiero che, tutto sommato, si può fare a meno del Sud, qualunque altro discorso sarebbe inutile. Il problema dunque si sposta ancora. E la domanda diventa: "Cosa si può fare per lo sviluppo del Meridione oggi che non è più pensabile, per oggettiva mancanza di risorse, far leva sull'intervento pubblico?" La risposta, allo stato attuale, non sembra, diciamocelo sinceramente, esserci e non si vede una soluzione a portata di mano. Ma il vero dramma è che i partiti, i movimenti che si va confezionando lungi dal non trovare risposte, non si sono nemmeno ancora posti la domanda con la consapevolezza necessaria che la sua urgenza dovrebbe suggerire. Ciò che possiamo dire, per ora, con una qualche certezza, è che molti dei problemi del Sud sono gli stessi che vive il Nord. Solo che nel Mezzogiorno d'Italia, per le condizioni generali, si aggravano pesantemente. L'eccessiva burocratizzazione, che pesa sul settore privato come su quello pubblico (pensiamo, ad esempio, alla scuola), l'inefficienza dell'Amministrazione pubblica, la lentezza della giustizia, la difficoltà dell'accesso al credito e il suo costo, sono solo alcune delle tante questioni che andrebbero affrontate con urgenza. Con o senza l'Agenda Monti. Nord e Sud: il problema nazionale 46 Il Sud non ha bisogno di un astratto liberismo economico e nemmeno di un inedito e incongruo liberalismo dirigista come è quello che sta spegnendo l'Europa. Ha bisogno di maggiore libertà, di maggiori possibilità di esprimere la propria vitalità. Ma l'Italia intera che ha bisogno di una sincera politica di liberalizzazioni che non devono nascondere surrettiziamente privatizzazioni che aggraverebbero le condizioni del Su e non gioverebbero al rilancio del Nord. Consiglio Nazionale Pri - Roma, 30 novembre / 1 dicembre 47 RIFORME ISTITUZIONALI 48 Consiglio Nazionale Pri - Roma, 30 novembre / 1 dicembre Riforme istituzionali 49 Premessa Nel dibattito in corso sui problemi relativi al funzionamento delle istituzioni e all'ordinamento dello Stato, l'attenzione prevalente si è incentrata sulle questioni connesse ai poteri del Presidente del Consiglio e alla stabilità dell'esecutivo, alla funzionalità del Parlamento e al superamento del bicameralismo perfetto. Marginale è stata l'attenzione verso la semplificazione dei livelli di governo locale, limitando il discorso all'attuazione del cosiddetto federalismo fiscale. E inesistente è stato il dibattito sul ruolo dei partiti e la loro regolamentazione giuridica. Ad avviso dei repubblicani, tutto si tiene. Non è pensabile una seria politica istituzionale che non abbracci i diversi e complementari aspetti, se si vuole realizzare un disegno coerente e non improvvisato. Occorre affrontare insieme i problemi relativi alla riforma della Costituzione e quelli che derivano dalla mancata attuazione di alcuni principi fondamentali della stessa, specificatamente dell'art. 49. Il problema dei rapporti esecutivo-legislativo e i connessi problemi del ruolo della Corte costituzionale e della revisione della legge elettorale Sia che si intenda adottare un sistema semi-presidenziale sul modello francese, sia che si scelga la strada del rafforzamento dei poteri del Presidente del Consiglio sul modello del "cancellierato", fondamentale resta il problema di garantire al Parlamento suoi spazi di autonomia rispetto all'esecutivo. Per questo riteniamo necessaria una riforma del sistema elettorale basata su collegi uninominali a doppio turno. Un altro aspetto che comunque dovrebbe essere rivisto è, per quanto riguarda le funzioni di garanzia della Corte Costituzionale, quello relativo alle forme di accesso al giudizio della stessa. Esso non dovrebbe essere consentito solo nel caso in cui nel corso di un giudizio venga sollevata la questione di costituzionalità di una norma e il magistrato non la giudichi manifestamente infondata, ma anche prevedendo la possibilità di ricorso alla Corte Costituzionale delle minoranze parlamentari (1/3) e di consentire alla Corte dei Conti di sollevare la questione di illegittimità costituzionale di una legge o di un atto avente forza di legge ove ravvisi una violazione dell'art. 81 della Costituzione. Regolamentazione giuridica dei partiti I problemi di una corretta definizione del ruolo del partito nel nostro ordinamento, delle garanzie da dare agli associati per quanto riguarda la democrazia interna, della trasparenza delle risorse finanziarie di cui i partiti stessi dispongono nascono da lontano. Ma non hanno trovato risposta da parte del legislatore. Il più organico disegno di regolamentazione dei partiti, dei loro bilanci e delle forme di finanziamento è stato presentato per conto del PRI dal sen. Del Pennino nel corso della 14a legislatura, insieme al sen. Compagna, ma ha incontrato l'indifferenza, se non l'ostilità, delle maggiori forze politiche. Per questo abbiamo proposto alla Camera e al Senato, nel corso di questa legislatura, di dare attuazione all'art. 49 della Costituzione, stabilendo le norme che devono essere rispettate per consentire il riconoscimento giuridico dei partiti e il conseguente accesso ai benefici economici e finanziari previsti dalla legge. La base per ottenere il riconoscimento giuridico deve essere l'adozione di uno statuto approvato da un'apposita Commissione di Garanzia. Lo statuto dovrebbe prevedere la tutela delle minoranze interne, la pubblicità delle riunioni degli organi di partito, dei libri sociali e degli elenchi degli iscritti. Sarebbe altresì necessario che lo stesso contemplasse vere primarie per la scelta dei candidati ai diversi tipi di elezioni e, in caso non si desse corso alle primarie, le garanzie perché la scelta dei candidati avvenga con la libera partecipazione di tutti gli iscritti, senza imposizioni dei leaders del partito. Per quanto riguarda il finanziamento, secondo i repubblicani, esso andrebbe assicurato da oblazioni volontarie detassabili. 50 Riforme istituzionali Il contributo per le spese elettorali sarebbe in questo caso limitato e dato sia ai partiti, sia ai candidati, ma non potrebbe essere superiore all'entità dei contributi privati raccolti. Sarebbe da prevedere anche la possibilità per ciascun contribuente di destinare, all'atto della dichiarazione annuale dei redditi, il 5 per mille dell'imposta sui redditi al finanziamento di uno specifico partito politico registrato. Il bilancio dovrebbe essere mutuato dalle norme in materia di società per azioni e contenere un rendiconto delle entrate e delle uscite. Nello statuto di ciascun partito andrebbe stabilita la quota delle entrate ordinarie messe a disposizione delle articolazioni periferiche. La legge dovrebbe altresì prevedere che i bilanci vengano sottoposti all'apposita Commissione di Garanzia. Per le spese delle campagne elettorali vanno previsti precisi tetti anche per i partiti, non solo per i candidati. Il problema della revisione del bicameralismo perfetto e del titolo V della Costituzione Ad avviso dei repubblicani tutte le proposte avanzate per la riforma del bicameralismo presentano un difetto d'origine. Si intende cioè basare la ripartizione delle competenze tra Camera e Senato sulla distinzione, introdotta dalla riforma del Titolo V della Costituzione, tra legislazione di esclusiva competenza statale e legislazione concorrente. Da tempo il PRI ha sottolineato come la legislazione concorrente rappresenti un "mostrum" che è alla base dei continui conflitti di attribuzione tra Stato e Regioni sollevati davanti alla Corte Costituzionale. Prioritaria, o quanto meno contestuale, rispetto a qualsiasi modifica dell'attuale sistema di bicameralismo perfetto è, a nostro avviso, la revisione dell'attuale Titolo V con l'abolizione della legislazione concorrente e una ripartizione delle 16 competenze, relative alla materia oggi oggetto della stessa, tra Stato e Regioni. Va infatti rilevato come alcune materie che sono state assurdamente attribuite alla legislazione concorrente quali, per citarne solo alcune, la protezione civile, le professioni, i porti e gli aeroporti civili, le grandi reti di navigazione, la produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia, la previdenza complementare ed integrativa, devono rientrare nella competenza esclusiva della legislazione statale. Ma la revisione del Titolo V, non può riguardare solo il problema della legislazione concorrente. Essa deve rivedere la formulazione novellata dell'art. 114 della Costituzione, che oggi recita: "La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato". Tale disposizione appare in contraddizione con gli art. 1 e 5 della Costituzione, che affermano: "L'Italia è una Repubblica una e indivisibile". Ora cos'è lo Stato se non la Repubblica Italiana? E' un non senso porre sullo stesso piano Stato, Regioni, Province, Comuni e Città metropolitane. Anche su questo punto occorre una revisione dell'attuale Titolo V, così come va reintrodotto il principio dell'interesse nazionale, che la legislazione regionale deve rispettare. Solo collegata a questa riforma del Titolo V, il Pri ritiene possibile affrontare in modo organico la revisione del sistema bicamerale, attribuendo alla Camera il compito di esprimere il voto di fiducia al Governo e la competenza primaria relativa alle materie legislative di competenza statale, e riservando al Senato il compito di definire i principi fondamentali cui dovrà attenersi la legislazione regionale e l'autonomia differenziata. Dovrebbero comunque rimanere di competenza di entrambi i rami del Parlamento le leggi costituzionali, quelle elettorali, le leggi sulla perequazione delle risorse e il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, nonché la definizione dei livelli essenziali dei servizi. I diversi livelli del governo locale La modifica del bicameralismo perfetto, con la creazione di un Senato che prevalentemente dovrebbe Riforme istituzionali 51 occuparsi dei temi connessi all'autonomia regionale e al sistema periferico e l'attuazione del cosiddetto federalismo fiscale postulano una revisione del quadro dei poteri locali. Non abbiamo ancora i conti esatti di quale sarà il costo del federalismo fiscale. Certo l'abbandono del criterio della spesa storica e il ripristino dell'autonomia tributaria rappresentano un importante contributo alla responsabilizzazione degli amministratori locali. Ma esiste il pericolo di un moltiplicarsi delle strutture burocratico-amministrative e un conseguente aumento del carico sui contribuenti. Oltre tutto la crisi economica scarica sugli apparati pubblici una domanda molto più estesa di quella che le risorse disponibili consentono di appagare. E questo esige che si operino delle scelte rigorose, che si eliminino sprechi e sovrapposizioni. In questo quadro, non è sterile rivendicazione di una storica proposta dei repubblicani quella dell'abolizione delle province, non solo del loro accorpamento. I compiti oggi assegnati alle Province potrebbero essere adeguatamente svolti dagli uffici tecnici che potrebbero continuare ad operare senza il governo degli organi politici provinciali, e posti invece sotto il controllo delle Regioni o delle Unioni dei Comuni. Ma una seria ridefinizione del sistema dei poteri locali non passa solo attraverso l'abolizione dell'ente provincia. Essa richiede, ad avviso del PRI, anche il superamento dei comuni polvere. Oggi su circa 8000 comuni italiani, più di 5000 sono sotto i 5000 abitanti. Non sono quindi in grado di offrire adeguati servizi alle popolazioni interessate. Il costo delle loro strutture burocratiche finisce con l'assorbire gran parte delle risorse che dovrebbero essere destinate a rispondere alle esigenze dei cittadini. Occorre prevedere, per le realtà inferiori ai 5000 abitanti, unioni dei comuni contermini, uniche e polifunzionali, assorbendo anche, ove esistono, le comunità montane, e sopprimendo le diverse forme associative oggi esistenti: gli ATO, i bacini imbriferi montani, i consorzi esistenti che assolvono a funzioni tra loro differenziate. Tutto questo come premessa per l'avvio dei processi di fusione che andrebbero favoriti con appositi incentivi finanziari. 52 Consiglio Nazionale Pri - Roma, 30 novembre / 1 dicembre Consiglio Nazionale Pri - Roma, 30 novembre / 1 dicembre 53 LE PROFESSIONI E GLI ORDINI: PROFESSIONALITA', SVILUPPO, EFFICIENZA 54 Consiglio Nazionale Pri - Roma, 30 novembre / 1 dicembre Le professioni e gli ordini: professionalità, sviluppo, efficienza 55 Le professioni vivranno, in Europa, nei prossimi decenni una fase di grande trasformazione evolutiva, e rappresenteranno sempre più una componente dinamica, propulsiva ed innovativa delle società moderne, ad elevata attività produttiva. La ricchezza prodotta da queste categorie umane ed economiche sarà sempre più significativa, ed il loro ruolo politico (nel senso nobile della parola) sarà sempre più incisivo. Nei paesi del Nord Europa e negli Stati Uniti queste peculiarità, con differenti accentuazioni, (le punte più avanzate sono negli Usa), sono già una caratteristica importante e segnano, per certi versi, anche il modello sociale dei rispettivi paesi. In queste nazioni non è preponderante, per caratterizzarne il ruolo ed i compiti, l'aspetto ed i contenuti giuridico - formale, bensì la qualità, la funzione ed il perimetro di competenza, spesso sussidiario rispetto a quello pubblico, dell'attività di queste categorie. In Italia si deve, purtroppo, registrare un consistente ritardo culturale del modello in essere, dovuto ad una tradizione di conservazione e di inerzia: da ciò il ritardo nel recepire gli essenziali processi di trasformazione già in via di realizzazione altrove. La cornice giuridica entro la quale si sviluppa l'attività delle professioni è, sostanzialmente, quella delineata dall'art.2229 del codice civile vigente, che definisce e regolamenta la figura degli Ordini Professionali (in estrema sintesi) quali istituzioni di autogoverno di una professione, per esercitare la quale è indispensabile un diploma di laurea e l'iscrizione all'albo della specifica professionalità; gestito ed aggiornato proprio dal corrispondente ordine professionale . Le professioni per le quali non è richiesta la laurea sono organizzate nei cosiddetti Collegi Professionali. È ragionevole ipotizzare che sono circa due milioni le persone che oggi svolgono la loro attività lavorativa su basi intellettuali. Infatti, se agli 1,7 milioni di professionisti iscritti agli albi ed ai collegi obbligatori si aggiunge quella parte di professionisti che per svolgere un'attività di tipo intellettuale non devono essere necessariamente iscritti a nessun organismo obbligatorio per legge, si raggiunge abbondantemente l'ordine di grandezza prima indicato. Il primo intervento legislativo, di una certa significatività, finalizzato ad introdurre, in una situazione di perdurante staticità, elementi di innovazione e di dinamismo è rappresentato dal provvedimento del 2006, predisposto attraverso un decreto legge dall'allora ministro Bersani, che aveva l'obiettivo di introdurre alcuni primi elementi di liberalizzazioni e di sviluppo della concorrenza in alcuni settori della realtà produttiva nazionale, tra cui, appunto, quella degli ordini professionali. Si indicava a tal proposito come interventi di innovazione: l'abolizione del concetto della tariffa minima, l'introduzione della possibilità per gli studi professionali di pubblicizzare la propria attività ed i servizi erogati, l'opportunità di fornire attività professionale interdisciplinare , attraverso interventi coordinati di studi di diversa professionalità. A distanza di tempo, oggi, si può dire che queste innovazioni sono state, nel tempo, abbondantemente depotenziate dagli interventi interpretativi e di regolamentazione dispiegati dagli ordini professionali. Con il recente decreto" Cresci Italia", il governo Monti ha riconsiderato la prospettiva di un'incisiva riforma degli ordini professionali; al fine di introdurre nella normativa in essere consistenti incrementi del livello di liberalizzazione di tali comparti. Ma anche in questo caso si evidenziano le notevoli difficoltà a concretizzare gli interventi regolamentari ed applicativi della legge approvata, essenziali per darne attuazione. La conseguenza di tutto ciò è che resta inapplicata, nel caso dell'attività degli ordini professionali, tutta la normativa introdotta dagli articoli 101 e 102 del Trattato dell'Unione Europea sul divieto di intese restrittive della concorrenza e dell'abuso di posizioni dominanti. Nella specifica tesi programmatica del Pri, sono stati indicati una serie di interventi, funzionali all'obiettivo dell'innovazione profonda e sostanziale della normativa, per arrivare all'eliminazione della miriade di leggi nazionali e regionali che creano, artificiosamente, ostacoli allo sviluppo dei mercati concorrenziali per l'attività professionale. Tutto ciò non deve essere finalizzato solo a consentire al consumatore di poter conseguire un costo minore per usufruire di un servizio professionale, cosa certo non secondaria, ma anche per migliorare la qualità, l'efficienza e, non ultimo, la soddisfazione umana ed economica del professionista stesso. 56 Le professioni e gli ordini: professionalità, sviluppo, efficienza Questa finalità si coniuga e si integra con l'obiettivo prioritario ed essenziale di un efficace intervento di riduzione dell'abnorme livello della spesa pubblica; soprattutto attraverso la drastica riduzione" del perimetro di azioni di competenza dello Stato": ridefinendo in modo restrittivo le funzioni dell'amministrazione pubblica, centrale e periferica. Si ipotizza di poter affidare agli organi professionali, opportunamente ristrutturati e liberalizzati da vincoli restrittivi e di tariffe, la verifica dei requisiti amministrativi - burocratici necessari per lo svolgimento delle attività private; nonché la certificazione di corrispondenza ai vincoli ed a i dettami giuridici degli adempimenti svolti dalle strutture e dalle organizzazioni private per realizzare produzione di beni e/o servizi, oggi sottoposti al rilascio di licenze, permessi, autorizzazioni e qualsivoglia altro nullaosta, al momento di competenza della burocrazia amministrativa. Ciò necessariamente postula, come già oggi avviene in questi casi negli Usa, una ridefinizione delle responsabilità giuridiche, civili e penali, e delle conseguenti azioni repressive verso i soggetti, iscritti agli albi professionali, che volontariamente intendono gestire, senza oneri di qualsivoglia natura a carico dello Stato, le funzioni delegate: si ritiene di poter sostituire, in sostanza, una tariffa pubblica con un onorario privato. È necessario, però, in via prioritaria e propedeutica correggere la situazione in atto, che registra un'anomalia tutta italiana: il settore dei servizi professionali costa oggi agli utenti (imprese e privati cittadini) più della media europea, con gli effetti che é certamente facile immaginare. Questa innovativa, e per certi versi rivoluzionaria, competenza attribuita alle Professionalità, apre una diversa e più moderna caratterizzazione degli Ordini Professionali, i quali, sostanzialmente, entrano direttamente nei gangli centrali della stessa struttura statale. Tutto ciò, mentre si esalta il ruolo, la funzione e l'immagine, nel contempo accentua la responsabilità dei comportamenti civili delle strutture professionali agli occhi della società nazionale. Consiglio Nazionale Pri - Roma, 30 novembre / 1 dicembre 57 SCUOLA E UNIVERSITÀ 58 Consiglio Nazionale Pri - Roma, 30 novembre / 1 dicembre Scuola e università 59 Nel momento in cui il Paese si accinge a fare scelte difficili ed impegnative per il prossimo quinquennio, giova richiamare innanzitutto la funzione fondamentale della scuola , come definita dagli articoli 3, 33 e 34 della Costituzione , aggiornandone la declinazione alla luce di quanto è avvenuto negli ultimi anni e delle prospettive che si aprono (devono aprirsi) per il futuro. Nel corso degli ultimi quindici anni, a partire dal riconoscimento costituzionale della autonomia della scuola, abbiamo assistito alla progressiva faticosa attuazione, anche in chiave legislativa e organizzativa, dei principi solennemente affermati nella Costituzione, superando gradualmente le rigidità del centralismo burocratico che lo Stato unitario era stato costretto ad adottare a fronte della gravissima situazione di analfabetismo e di arretratezza culturale di ampie zone del territorio nazionale ed al tempo stesso evitando che si attivasse un processo di disgregazione dell'identità linguistica, culturale e storica tale da mettere a rischio la coesione di intenti del popolo italiano che deve andare al di là delle opzioni politiche, necessariamente articolate ed inevitabilmente fra loro concorrenziali. La valorizzazione dell'autonomia scolastica è apparsa alla fine del secondo millennio uno strumento adeguato a conferire agli interventi formativi una maggiore efficacia ed a sottrarre i docenti ad una condizione di "dipendenza" che, con l'avvento della scuola di massa, con selezioni del personale sempre più al ribasso e soprattutto con l'assenza di controlli credibili sui risultati e di conseguenti strumenti di riconoscimento del merito individuale, finivano col rendere anche le risorse pubbliche destinate all'istruzione una spesa in gran parte improduttiva, o comunque percepita come tale. Ed è su quest'ultimo punto che la politica deve dare il suo decisivo contributo, non solo per giustificare le risorse impegnate ed eventualmente accrescerle, ma anche per dare qualità ai processi formativi ed al futuro del Paese. Negli ultimi dieci anni sono state fatte, spesso in modo bipartisan e con attento ascolto del mondo produttivo, le necessarie riforme di ordinamento (articolazione in cicli, connotazioni culturali significative nei percorsi liceali e nella istruzione tecnica e professionale, stesura sufficientemente sobria di indicazioni nazionali e linee guida, attivazione di strumenti di verifica dei risultati) ed è stato anche modificato coerentemente con il nuovo assetto, lo stato giuridico dei dirigenti scolastici. La priorità del futuro Parlamento e del Governo che si costituirà sulla base dei risultati elettorali è porre mano ad uno stato giuridico dei docenti che configuri diritti, doveri ed ambiti dell'autonomia, che nel caso dei docenti è, per legge, "didattica" cioè relativa alla impostazione professionale delle attività ed alla più funzionale organizzazione del lavoro scolastico, alla scelta degli strumenti di supporto alla didattica ed anche allo studio individuale degli alunni . Dall'insieme delle prestazioni professionali di ciascun docente e del consiglio di classe di cui è parte attiva, dipende il successo formativo degli alunni. Ed è singolare che, nonostante l'autonomia, sia i governi politici, sia l'attuale governo tecnico, insistano nel non porre mano ad uno stato giuridico che responsabilizzi davvero ciascun docente e lo sottragga ad interferenze di ogni tipo sulla sua attività professionale, di fatto negata e comunque non valorizzata nella sua variegata "produttività". Scuola L'obiettivo di fondo è e resta, per qualsiasi governo, in Italia e altrove, quello di realizzare la società della conoscenza, con forte assunzione di responsabilità da parte della Repubblica per la realizzazione di una scuola di qualità che sia davvero la casa comune di tutti e che persegua attraverso la cultura e l'istruzione la socializzazione fra tutti coloro che la frequentano senza pregiudizi e discriminazioni ideologiche. L'offerta scolastica deve vedere impegnati nell'istruzione quanti più soggetti è possibile per tutto il tempo necessario ad imparare ed apprendere per tutto il resto della vita: dieci anni risultano oggi indispensabili per una istruzione obbligatoria e gratuita, non necessariamente identica per tutti nel primo biennio della scuola secondaria superiore. Occorre liberare risorse necessarie per la formazione scolastica e investire con maggiore convinzione 60 Scuola e università nella formazione dei giovani. Secondo l'OCSE in Italia nel 2011 si è investito il 4,8% del PIL contro il 6,1 dei paesi membri. L'Italia non investe nemmeno sullo studio in generale, tanto è vero che l'investimento procapite (per ogni studente) tra il 2000 e il 2008 è aumentato appena del 6%, gli altri Paesi dell'OCSE hanno invece aumentato gli investimenti del 34%, comprendendo che la forza di un Paese e il suo futuro dipendono dalle capacità e dalle competenze dei propri giovani. Per arrivare ad una media OCSE occorre arrivare ad una riforma stabile dell'istruzione primaria e secondaria, evitando, come nel recente passato, quella mancanza di idee che hanno caratterizzato i diversi governi negli ultime decenni. La scuola è tra i pochi settori che richiede una condivisione ampia di tutte le forze parlamentari per raggiungere una stabilizzazione nel percorso formativo. I diversi ministri che si sono succeduti (Berlinguer, Fioroni, Moratti e Gelmini) hanno operato contraddicendo e riformando quanto il precedente ministro aveva introdotto, penalizzando in tal modo l'intera comunità scolastica: docenti, studenti, operatori amministrativi ecc. e le stesse famiglie. Occorre stabilire, innanzitutto, un definitivo ciclo di studi obbligatorio a 10 anni come indicato dalla riforma Berlinguer, poi svilita dalla riforma Moratti che ha ricompreso nel decennio anche gli anni, tra i 14 e i 16, dedicati a corsi professionali alternativi e all'apprendistato. La scuola deve offrire a tutti le stesse possibilità formative per un complessivo numero di 10 anni attraverso lo studio e non altro. Ciò è ancor più fondamentale in quanto oggi solo alla scuola è demandato l'onere di istruire i cittadini del domani. A tal fine si rende necessario rivedere i programmi e la composizione dei cicli della scuola primaria e di quella secondaria di primo grado, ritenendo opportuno agganciare a questi due cicli il biennio della scuola secondaria di secondo grado. Iniziando la scuola al quinto anno di età il giovane termina il percorso formativo tra il 15mo e il 16mo anno di età. Chi vuole completare il ciclo formativo prima di iscriversi all'Università può, anzi deve, completare il ciclo con un triennio specialistico (liceo o altro) In sostanza il ciclo formativo di primo grado dovrebbe comprendere i cinque anni di primarie e i 5 anni comprensivi dell'odierna secondaria di primo e il biennio della secondaria di secondo grado. A tal fine occorre ridefinire e riqualificare le materie e i piani di studio rendendo graduale l'apprendimento ed evitando inutili ripetizioni. Università La Riforma Berlinguer dell'Università , che ha introdotto un ciclo di studi su tre livelli, (1. Laurea di tre anni; 2. laurea magistrale di 2 anni; 3. dottorato di ricerca (2 anni) o scuola di specializzazione da 2 a 5 anni) ha dimostrato tutti i limiti fallendo gli obiettivi sia di migliorare la qualità dell'offerta formativa sia quella di ridurre i tempi del conseguimento della laurea a discapito della qualità. La riforma Gelmini, al contrario, riducendo gli investimenti a prodotto l'effetto di abbassare la qualità e dare vita alla precarizzazione dei ricercatori universitari. Le due riforme, per noi sbagliate, hanno prodotto l'effetto distorcente della moltiplicazione dei corsi universitari, il caos didattico, l'aumento del numero dei fuoricorso, la diminuzione dei laureati (3+2), l'introduzione di test d'ingresso, difficoltà d'accesso al dottorato,fondi insufficienti per le borse di studio. Altro effetto distorcente è stato quello di estendere il numero delle Università sul territorio nazionale abbattendo con l'aumento dei corsi il livello complessivo della qualità didattica. Come ridare dignità agli studi universitari? 1) Superamento della riforma Berlinguer e ritorno ai corsi di laurea quinquennali; 2) Abolizione del numero chiuso, sostituendolo con una valutazione di merito reintroducendo l'obbligatorietà di alcune materie fondamentali al primo anno il superamento delle quali garantisce il proseguimento del corso; 3) Individuazione di una procedura che non consenta più il mantenimento di un numero elevato Scuola e università 61 dei fuoricorso; 4) Riduzione del numero degli Atenei, il che garantirebbe quella concorrenza sleale e distorcente basata su 'Laurea offresi' che dequalifica l'intero sistema nazionale e favorisce la crescita di Università private il cui controllo qualitativo ed economico presenta innumerevoli perplessità; 5) Riduzione dei corsi e riaccorpamento delle materie oggi divise solo allo scopo di aumentare il numero delle cattedre; 6) Maggiore libertà da parte degli Atenei riqualificati di avvalersi di docenti anche al di fuori dei meccanismi tradizionali purché scientificamente e culturalmente riconosciuti di alto livello, sia italiani che esteri. 7) Introduzione del sistema che garantisca la laurea basata sia sullo studio che sulla pratica da effettuare durante il corso universitario (occorre creare un sistema basato sulla partecipazione diretta degli ordini professionali per attuare un percorso di formazione professionale al fine di garantire un anticipato ingresso nel mondo del lavoro del giovane. L'esperienza professionale in itinere deve rientrare nella valutazione finale della laurea); 8) Miglioramento dell'orientamento universitario a partire dagli ultimi anni della scuola superiore di secondo grado. 9) Potenziamento delle borse di studio basate sul merito e sul reddito. 62 Consiglio Nazionale Pri - Roma, 30 novembre / 1 dicembre Consiglio Nazionale Pri - Roma, 30 novembre / 1 dicembre 63 TURISMO 64 Consiglio Nazionale Pri - Roma, 30 novembre / 1 dicembre Turismo 65 L'economia turistica offre un contributo qualificante alla produzione della ricchezza italiana, allo sviluppo occupazionale, all'attivo della bilancia valutaria. Il valore aggiunto prodotto dalle attività connesse al turismo è circa 83 miliardi di euro, ovvero circa il 6% del totale dell'economia. I consumi turistici interni ammontano a circa 114 miliardi di euro, parte dei quali (circa 30 miliardi) è determinato dalle spese effettuate in Italia dai turisti stranieri. Turismo e Cultura, in un paese come l'Italia non possono che stare assieme. Non c'è nazione al mondo dotata di Beni Culturali qualitativamente e quantitativamente elevati come in Italia. Il recupero e la fruizione dei beni culturali, monumentali ed architettonici dovrebbero essere asset fondamentale delle politiche di promozione turistica nel nostro paese. Purtroppo i beni culturali e monumentali, specie quelli minori e quelli presenti in territori meno vocati, nel nostro paese negli ultimi decenni, per l'assenza di una seria politica di recupero strutturale e funzionale, sono stati e sono soggetti ad un progressivo abbandono e degrado. Il loro valore di attrattore turistico tende, sempre più, a diminuire. E' possibile garantire alla fruizione sociale ed al turismo il patrimonio, oggi indisponibile, dei privati attraverso il recupero strutturale architettonico e monumentale e la messa a reddito degli immobili di pregio, ville, castelli, abbazie, complessi residenziali di valore storico culturale artistico ed architettonico oggi in stato di abbandono, degrado ed incuria . La difficile situazione finanziaria del Nostro Paese, non consente di attivare politiche ed investimenti di tale portata da parte dello Stato . Per attivare il percorso di fruizione del patrimonio oggi indisponibile dei privati e del patrimonio pubblico in stato di degrado, si ritiene indispensabile la CREAZIONE DI UN FONDO DI INVESTIMENTO dove inserire parte del Patrimonio Pubblico, indicato dal Ministero dei Beni Culturali (da scegliere tra il patrimonio minore in degrado che ad oggi non é manutenuto né messo a reddito) e il patrimonio oggi indisponibile di privati che si convenzioneranno per la cessione di immobili. Tale convenzione dovrà prevedere: - la cessione di immobili di pregio per un periodo di anni 30/50; - la ristrutturazione; - la gestione dei siti da parte dei soggetti qualificati individuati attraverso gara di qualificazione con bando europeo. Occorre, quindi, che i Ministeri del Turismo e dei Beni Culturali di concerto con la Borsa individuino: a) i criteri per la gestione del fondo e per valutare e valorizzare i beni pubblici e privati che verranno immessi nel fondo; b) una congrua remunerazione del capitale investito, dove potrebbe intervenire anche lo Stato; c) le regole per la ristrutturazione dei siti tali da permettere un percorso lineare e fattivo con le Sovraindentenze locali; d) l'individuazione del gestore per la messa a reddito del sito; e) le forme di riconsegna/ ulteriore utilizzo /cessione definitiva del sito al proprietario. 66 Turismo Il percorso di ristrutturazione deve vedere il coinvolgimento di molti soggetti dalla fase di progettazione dell'intervento ai lavori di ristrutturazione e riattamento con moderni criteri di funzionalità, compatibilità ed ecosostenibilità con individuazione di tutti gli stakeholder attraverso gara di qualificazione europea impostata al criterio economicamente più vantaggioso. Oggi il turismo italiano va qualificato ed implementato a seconda del grado di maturazione delle offerte turistiche territoriali: bisogna distinguere, infatti, tra il turismo maturo dei principali siti italiani (da sempre vocati al turismo e dotati di sufficienti strutture ricettive e funzionali) e quello dei territori privi di strutture o con basso tasso di strutture recettive, che troverebbero in questo modo sia gli attrattori culturali che un congruo ampliamento dei posti letto nel territorio. Sarà utile, in questo ambito, valorizzare la potenzialità turistica dei siti Unesco e l'utilizzo dei fondi Europei POIN e PAIN, ammontanti a circa 2 Miliardi di Euro, da spendere entro il 2013 e non ancora utilizzati e che rischiamo di mandare indietro a Bruxelles e attenzionare i nuovi fondi europei 2014/2020 delle regioni "convergenza" per attivare i finanziamenti europei del settore. Consiglio Nazionale Pri - Roma, 30 novembre / 1 dicembre 67 GIUSTIZIA 68 Consiglio Nazionale Pri - Roma, 30 novembre / 1 dicembre Giustizia 69 Affrontare una seria riforma della giustizia significa in primo luogo rispondere ai due mali che ne hanno condizionato il buon funzionamento: - la conflittualità dell'ordine giudiziario con gli altri poteri dello Stato; - la congenita inefficienza, specie nel settore civile del contenzioso. Per superare i due grandi mali della nostra giustizia, occorre partire da una riflessione sullo status della nostra magistratura: formalmente estranea ad ogni logica e dinamica del circuito politico-democratico- rappresentativo ma che di fatto, rispetto a quanto scritto nella Costituzione e nelle leggi fondamentali dell'ordinamento, ha assunto un altro ruolo. Da una parte, in nome dell'indipendenza di tutti i magistrati, si è persa la garanzia dell'imparzialità di ogni magistrato. Dall'altra, gli interventi della giurisprudenza, se non efficacemente utilizzati, possono oltrepassato i limiti e gli ambiti della lettura e della applicazione, con il rischio di dare vita a creazioni interpretative e/o creative della legge. Come sostenuto anche dalla Corte di Cassazione la giurisdizione svolta nel prudente e rigoroso esercizio del potere discrezionale è abilitata a stabilire quale interesse sia meritevole di tutela e quindi con questa interpretazione è giusto convenire che il diritto non nasce dalla sola definizione della legge ma anche dal "prudente arbitrio" della giurisdizione. Certamente è utile e opportuno se richiesto dall'ordinamento legislativo il Consiglio superiore della magistratura possa esprimere e diffondere pareri su disegni di legge in itinere; ma appare del tutto incomprensibile, specialmente se espressi in corso d'opera, qualora a tale prerogativa si richiamano singoli magistrati che potrebbero così condizionare il libero svolgimento dei lavori politici e del'opinione pubblica. In virtù di queste riflessioni, occorre preliminarmente intervenire sullo status della magistratura, senza anacronistiche marce indietro volte a ripristinare un modello di magistrato asettico. Le proposte che avanziamo riguardano: 1. il Primo Presidente della Corte di Cassazione e il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, in quanto garanti del sistema nel suo complesso, debbano essere, sul modello inglese nominati dal Capo dello Stato, sentito il parere non vincolante dei presidenti di Camera e Senato e del CSM. 2. per i dirigenti degli uffici giudiziari locali (Presidente di Corte d'appello, Procuratore generale presso la Corte d'appello, Presidente di tribunale e Procuratore della Repubblica), oltre a svolgere la loro funzione giurisdizionale devono anche assolvere al compito di coordinamento, di indirizzo e di responsabilità ultima nell'espletamento dell'attività del proprio ufficio giudiziario. 3. Nuova composizione del Consiglio superiore della magistratura. Con questa proposta si vogliono superare i rischi della «giustizia domestica», proprio in ragione del fatto che la riforma dovrebbe portare ad un maggior controllo sullo svolgimento efficiente della funzione giudiziaria. Il modello che si propone ricalca quello previsto per la Corte Costituzionale stabilendo che: - un terzo dei componenti è eletto da tutti i magistrati ordinari fra gli appartenenti alle varie categorie; - un terzo dal Parlamento in seduta comune fra professori ordinari di Università in materie giuridiche ed avvocati dopo quindici anni di servizio; - un terzo nominato dal Presidente della Repubblica. In questo modo viene esaltato il potere neutro del Presidente della Repubblica, rendendo non formale il suo ruolo di Presidente del Consiglio Superiore stesso. 4. Rendere reale e non fittizio e strumentale il principio dell'obbligatorietà dell'azione penale in modo tale che l'applicazione delle priorità sia uniforme e omogenea in tutte le Procure delle repubbliche d'Italia. 70 Giustizia 5. Per quanto riguarda il processo civile diventa perentoria e prioritaria che lo stesso, nei primi due livelli, si concluda nel termine massimo di un anno per ogni grado di giudizio. Per conseguire questo risultato la funzione del magistrato va svincolata dalla fase preparatoria ed istruttoria e deve scattare dal momento delle conclusioni di tale fase e finalizzarsi nella emissione della sentenza. Tutta la fase preparatoria all'obiettivo della sentenza dovrà essere gestita dalle parti le quali a loro spese provvederanno ad insediare un supervisore che avrà la funzione di coordinare e regolamentare tutto il dibattimento propedeutico. Alla conclusione del quale tutto l'incartamento passerà al giudice che dovrà emettere la sentenza sulla base dell'istruttoria già predisposta. Si tratta in sostanza di estendere anche al processo civile il principio istituito per regolamentare il processo penale con rito abbreviato. Consiglio Nazionale Pri - Roma, 30 novembre / 1 dicembre 71 LA POLITICA ESTERA 72 Consiglio Nazionale Pri - Roma, 30 novembre / 1 dicembre La politica estera 73 Dal secondo dopoguerra il partito repubblicano ha sostenuto una politica estera atlantista giustamente preoccupato di rinsaldare il rapporto dialettico fra gli Stati Uniti d'America e l'Europa appena liberata dal giogo nazifascista. L'Italia che si era liberata dal regime fascista e doveva integrarsi nel sistema occidentale era un'occasione indispensabile per garantire quelle condizioni di libertà e di sviluppo che pure potevano essere compromesse nel caso di un'espansione sovietica. Possiamo dire che la pace di Yalta non fosse sicuro, almeno fino al riconoscimento da parte del Pci della Nato nel 1976. In tutti quegli anni il partito repubblicano ha rappresentato un punto di riferimento fermo per il paese nella difesa degli interessi atlantici, ben oltre i confini europei, schierandosi a fianco della politica americana nel sud est asiatico. All'epoca la sconfitta americana in Vietnam, come poi si verificò, avrebbe provocato uno shock in quella regione del mondo tale da far scomparire ogni prospettiva democratica e di sviluppo per almeno due decenni ed ancora oggi quella parte del mondo è in gravi difficoltà. Quello che non si poteva immaginare in quegli anni era se non il crollo a breve dell'Unione sovietica e la liberazione dell'est europeo, l'evoluzione formidabile della Cina comunista. Dal tempo di Deng Xiaoping, la Cina ha aperto sostanzialmente al mercato e potenziato il capitalismo rudimentale sopravvissuto al tempo di Mao, concentrando le risorse nelle mani dei principali clan familistici del partito. Il binomio capitalismo autoritarismo ha dato eccezionali risultati nel breve periodo tanto che la Cina possiede buona parte del debito statunitense e ha avuto uno sviluppo straordinario in termine di prodotto interno lordo ed esportazioni, ma ora è messa alla corda. Il sistema quasi completamente privo di diritti del mondo del lavoro comunista ed asiatico ha posto la necessità di riorganizzazione tutto il mondo occidentale per reggere in termini di competitività, ma non è detto che quel mondo non debba attraversare una crisi altrettanto profonda, tale da spezzare le catene che rendono ancora i lavoratori poco più che degli schiavi. Puntare ad una democratizzazione della Cina significherebbe non solo aiutare i milioni di cinesi che ancora non usufruiscono del benessere arrivato nel loro paese, ma anche allentare sull'occidente la pressione causata da una competitività insostenibile. La crisi che si è aperta nel sud Pacifico fra interessi indiani americani da una parte e cinesi dall'altra, purtroppo non aiuta, perché ogni forma di tensione internazionale, incluse quelle con il Giappone, rivitalizza la consolidata forza repressiva del regime di Pechino e la porta ad arretrare nel suo ancestrale isolamento. Quale che sia la definizione del mondo nei nuovi equilibri che questo cerca di darsi, da Pechino a New York, il Pri deve chiedere di espandere i confini della democrazia e guadagnare maggiori libertà per le popolazioni. Il sud America rappresenta un progresso migliore rispetto al continente africano e anche a quello asiatico e si comprende perché l'influenza statunitense è diventata sempre più forte rispetto a quella sovietica cubana. E superata la minaccia comunista in senso stretto i principali paesi dell'America latina si sono evoluti positivamente e proprio gli Stati uniti sono la garanzia di questo processo che continuerà anche dove oggi vi sono maggiori resistenze. La fine del comunismo come movimento internazionale con finalità rivolte al rovesciamento delle democrazie occidentali ha comportato inevitabilmente un quadro internazionale migliore eppure pericoli e rischi si sono persino intensificati. Se possiamo essere più sicuri ad est, dopo che la Russia ha subito un'evoluzione importante per quante perplessità possa sollevare il suo sistema di oggi ed il sud America si sta stabilizzando, le premesse della primavera araba sono già state parzialmente disattese. La caduta del regime libico ha aperto una grande fase di incertezze nella regione e lo stesso sembra poter avvenire per la Tunisia. L'Egitto non era un paese democratico, ma era un paese amico, oggi è poco più democratico, ma molto meno amico. La Siria si presenta in una condizione devastata e la comunità internazionale appare molto cauta sul come comportarsi considerati i discutibili risultati dell'intervento in Libia. Non è un caso che il governo Monti cerchi partnership commerciali in Kuwait, in Quatar o negli Emirati Arabi, Si tratta degli 74 La politica estera unici Stati che offrono possibilità di investimento in Italia, regimi consolidati, fondati sull'aristocrazia del petrolio. Il resto del mondo arabo deve ancora completamente stabilizzarsi e le possibilità di espansione imprenditoriale italiana sono molto limitate, anche perché il retaggio coloniale ha ancora una sua influenza. in particolare nell'Africa sub sahariana, Vi sono importanti paesi europei che mantengono una rendita di posizione, e sono attivissimi nelle loro ex colonie. Questo rappresenta un problema che pure viene ignorato. Non è possibile che governi africani disposti a prescindere dai loro referenti principali, vengano capovolti militarmente come pure è successo in Costa d'Avorio e bisognerebbe chiedersi se lo stesso processo non sia accaduto con modalità diverse nella stessa Libia di Gheddafi. Il sostegno ad Israele, minacciato di distruzione da parte dei regimi integralisti, rimane un punto fermo dell'azione politica repubblicana; ciò non esime dall'intraprendere tutte le iniziative che possono e debbono portare ad una pace stabile e duratura che non può che avere il presupposto di due popoli e due stati. Serve una forza liberal democratica europea, non solo per tracciare le linee delle integrazione fra i vari paesi che ne fanno parte, ma anche per offrire parità di partenza nei rapporti commerciali ed imprenditoriali con il mondo africano e tali da aiutarne lo sviluppo, preoccupandosi di disincrostare alla radice ogni correlazione post coloniale sopravvissuta. Non sarà un caso che nel pieno del conflitto in Iraq gran parte dei paesi centro africani si rivolgevano agli Usa per essere sostenuti nei loro sforzi di emancipazioni, ignorando completamente la pacifica Europa. E nemmeno consideriamo l'Onu che ovunque è intervenuto, dal Ruanda alla Somalia, ha fallito miseramente le sue missioni. Alla luce dell'evoluzione della trattativa sul nucleare iraniano, oltre che del conflitto civile in Siria, bisogna iniziare a chiedersi se l'Onu non sia un entità da superare. Il fatto stesso che la liberal democrazia sia possibile solo nelle ragioni dell'occidente, non significa che l'occidente non possa commettere passi falsi. Il Pri possiede un'autonomia di valutazione e di proposta anche di fronte alle divisioni e le incertezze che hanno caratterizzato il nostro campo di appartenenza dalla guerra in Kossovo a quella in Iraq e ovviamente quella in Libia. Nel momento nel quale si richiede maggiore libertà non si puà essere insensibili alla necessità di essere liberi anche rispetto agli schemi predefiniti. Via via che si è perseguito il processo di integrazione europea con risultati controversi, si sono evidenziati fenomeni nazionalistici di ritorno, tali da creare preoccupazione. Quando le principali risorse del vecchio continente scarseggiano non si posso ammettere Stati che ereditano una condizione privilegiata. Altrimenti si rischia di rimettere in discussione l'unità continentale. Anche per questo un soggetto liberal democratico deve sostenere le ragioni di una maggiore integrazione politica e militare delle istituzioni europee, oltre alla sola controversa integrazione economica. Non esiste una moneta unica quando non c'è una nazione unica e anche il destino di perdere quote di sovranità nazionale, non è necessariamente una sciagura. Sul fronte della politica del rigore economico, un'Italia incline agli sprechi ha il dovere di correggersi. E pure l'Italia non può venire sacrificata. A maggiore disciplina deve corrispondere maggiore integrazione, altrimenti si declina verso una ricerca di manovra indipendente da parte degli stati membri. Un soggetto liberal democratico ha come principale obiettivo quello di evitare ogni frammentazione e lacerazione del tessuto comunitario faticosamente costruito in tutti questi anni. Consiglio Nazionale Pri - Roma, 30 novembre / 1 dicembre 75 APRIRE L'ITALIA AI GIOVANI CONTRIBUTO AUTONOMO DELLA FEDERAZIONE GIOVANILE REPUBBLICANA 76 Consiglio Nazionale Pri - Roma, 30 novembre / 1 dicembre Contributo autonomo della FGR 77 Igiovani vivono in un paese difficile. Un paese che offre una decrescente qualità dell'istruzione, riducendo così la parità di opportunità; un paese dove la meritocrazia cede il passo al familismo e all'assistenzialismo e in cui l'ingresso al mondo del lavoro è un calvario. La disoccupazione in Italia, che ha superato la soglia del 10%, molto più alta di quella di altri paesi europei, ha raggiunto livelli di assoluta insopportabilità per la fascia giovanile. Il 35% dei giovani italiani è in cerca di lavoro, ma ancora più rilevante è l'aumento del gap tra sud e nord. L'occupazione giovanile nel Mezzogiorno si assesta, seconde diverse stime, ben oltre il 50%. Scuola, formazione, e mercato del lavoro sono i terreni sui quali occorre intervenire tempestivamente e con lungimiranza se si vuole garantire un futuro alle nuove generazioni e al paese. Per migliorare la condizione giovanile, e arricchirne le prospettive, è necessario partire dalla scuola: l'obiettivo di un'istruzione di massa diffusa deve considerarsi raggiunto, dal momento in cui la quasi totalità della popolazione è uscita dall'analfabetismo. Occorre perciò, oggi, porsi un'altro obiettivo: il mondo moderno, in cui i flussi economici e umani sono globali, è un mondo altamente competitivo e per preparare i giovani ad affrontarlo bisogna rendere anch'essi competitivi. La competizione richiede l'abbandono delle vecchie logiche assistenziali, sia sul terreno della formazione, che su quello del mercato del lavoro. È necessario intervenire in entrambi i settori, strettamente connessi l'un l'altro, con misure di carattere legislativo che non alterino le regole del libero mercato e che consentano di dare ai giovani maggiori chance per una loro efficace presenza nella società. Il lavoro non deve essere considerato un ammortizzatore sociale, bensì l'occasione perché i giovani possano realizzare se stessi e sentirsi partecipi di un processo collettivo. Per raggiungere questi obiettivi avanziamo sei proposte concrete di intervento: 1. Inserire nel processo formativo un sistema che stimoli la competizione tra istituti. Scuole e Università devono essere libere di assumere gli insegnanti, di programmare i propri interventi di istruzione e gli strumenti che ritengono adeguati: scuole e Università devono entrare in competizione tra loro sul terreno della qualità. Gli studenti devono poter scegliere tra le diverse offerte formative, siano esse fornite dallo Stato o dai privati. Lo Stato deve limitarsi a garantire non solo la fondamentale gratuità dell'istruzione, con un sistema che canalizzi i finanziamenti alle strutture scolastiche attraverso gli studenti, ma anche che tutte le scuole soddisfino requisiti minimi quali il riconoscimento dei valori fondamentali su cui si fonda la nostra società e che i programmi delle materie insegnate abbiano tutte un contenuto minimo aggiornato riferibile a tali valori e al pluralismo delle idee. 2. Strettamente connesso alla riforma scolastica, ed in grado di contenere le derive dei "diplomifici", è la proposta dell'abolizione del valore legale del titolo di studio. Gli studi effettuati avrebbero così l'unico compito di preparare il candidato alle prove concorsuali o alla selezione, ed è unicamente in quell'ambito che verrebbe effettuata la scelta di chi assumere. In questo modo il titolo di studio perde ogni caratteristica "burocratica" e trova nel suo valore scientifico e professionale il suo solo punto qualificante. 3. Mobilitarsi contro i tagli al programma Erasmus. Il programma europeo per lo studio all'estero è stato negli anni uno dei principali strumenti di costruzione del progetto europeo, e ha dimostrato di saper implementare le capacità di cooperazione tra i diversi paesi dell'Europa. Grazie ad esso è stato possibile garantire la circolazione dell'istruzione, aprendo ai giovani le porte di esperienze formative plurilinguistiche e pluriculturali. E' questa la via per fare delle nuove generazioni il popolo europeo. 4. Ridurre il cuneo fiscale per i contratti sulle nuove assunzioni. Ridurrebbe, indirettamente, il costo del lavoro a vantaggio dei giovani. 5. Unificare i percorsi previdenziali. Oggi, soprattutto i giovani, entrano nel mondo del lavoro attraverso la porta del precariato, dei contratti di collaborazione parasubordinati (co.co.co e co.co.pro). I contributi per questo tipo di contratti sono versati alle gestioni separate dell'Inps e degli altri enti previdenziali e non si sommano con i contributi cui avranno diritto quando avranno un rapporto di lavoro subordinato. Il danno previdenziale è evidente, soprattutto in presenza di un mercato del lavoro sempre più fluido. Sempre di più il percorso lavorativo sarà caratterizzato dall'alternanza di periodi di 78 Contributo autonomo della FGR lavoro subordinato e periodi di lavoro parasubordinato. Di conseguenza, è necessario trasferire anche alla gestione principale dell'INPS e degli altri enti previdenziali tutte le posizioni dei lavoratori parasubordinati, creando così un unico percorso previdenziale. Visto che i contratti di collaborazione sono usati prevalentemente per l'assunzione di giovani che si affacciano al mondo del lavoro, modificare e unificare la contribuzione aiuterebbe a garantire loro un migliore futuro previdenziale. 6. Introdurre misure di stimolo all' imprenditoria giovanile, migliorando le condizioni in cui è possibile fare impresa, attraverso agevolazioni fiscali per le microimprese in start-up, forme di credito agevolato, corsi di formazione sul "fare impresa". Consiglio Nazionale Pri - Roma, 30 novembre / 1 dicembre 79
\ÇzA ftäxÜ|É VÉÄÄâÜt 1 IL CONGRESSO,UN PROGETTO : IL PARTITO , L'ITALIA. 1) Introduzione. Il congresso straordinario del Pri, nella sua preparazione e nel suo svolgimento, si attua in un momento molto particolare e delicato per l'Europa, per il sistema Italia, per il movimento repubblicano. L'Europa come continente geografico è quindi come insieme di paesi e tuttora reduce da una grave recessione economica, forse la più estesa del dopoguerra; come progetto politico vive una fase di indeterminazione. L'Italia, naturalmente, sconta tutte quante le difficoltà complessive dell'Europa, ma con una virulenza, ed una accentuazione nettamente superiore alla media del continente, sia per i motivi economici e finanziari (storici limiti e handicap strutturali), sia per la complessiva difficoltà nella quale si dibatte il nostro sistema istituzionale, politico, e sociale. La nostra situazione, in sostanza, si manifesta come una profonda crisi antropologica, che è anche crisi di identità e di rappresentatività. Il movimento repubblicano, che pure rimane tuttora caratterizzato da un solido ed efficace patrimonio di idealità, di cultura politica, e di senso quasi sacrale delle istituzioni, sta attraversando una fase di estrema difficoltà, sia come conseguenza della crisi complessiva del sistema politico e sociale nazionale, sia per fenomeni e situazioni più interni, e quindi peculiari del nostro partito, che si evidenziano nell' acuta difficoltà in atto a proporsi come soggetto politico referente di uno specifico segmento elettorale del paese. Da qui la difficoltà a trovare spazio significativo nelle assemblee elettive istituzionali. Le tre questioni prima enucleate devono essere il terreno di dibattito, di approfondimento e di confronto, e quindi di proposta politico-programmatica della nostra prossima assise congressuale. Ovviamente ognuna delle tre questioni evidenziate ha riferimenti, risvolti ed ambito politico-culturali complessi ed estesi, che richiedono impegno e volontà, per poter concentrare le energie intellettuali e morali del Pri nel cercare di comprendere prima , e di risolvere poi. Se sapremo superare sterili ed inutili polemiche (che spesso sono pretesto per mascherare inadeguatezza progettuale) con lo sguardo rivolto al passato ,ed invece attiviamo il confronto e il dibattito, anche aspro ma leale, sulla ricerca di soluzioni, sull'indicazione di percorsi, sull'elaborazione di proposte; allora avremo offerto un importante contributo ai problemi del paese, e nel contempo potremo ritrovare il senso e la funzione dell'impegno politico repubblicano; rinnovando così il suo messaggio e la sua presenza nella cornice politica nazionale. 2) La Politica - I Partiti - Il PRI. Nell'attuale situazione di crisi generalizzata e complessiva, la politica rappresenta uno dei punti di maggiore criticità; il suo degrado è causa non secondaria delle estreme difficoltà nella comprensione, nelle gestione e nel superamento della crisi di ordine sistemico in atto. La constatazione vera, profonda ed amara è che la politica non ha saputo comprendere e quindi guidare i profondi cambiamenti che si venivano a manifestare nelle società complesse moderne, investite da fenomeni di profondo e strutturale cambiamento. \ÇzA ftäxÜ|É VÉÄÄâÜt 2 Nel mondo, in quest'ultimo decennio, sono cambiati i punti di riferimento del potere economico. L'equilibrio tripolare nella seconda metà del 21º secolo è radicalmente cambiato: non più USA - Europa -Unione Sovietica, perché nuovi paesi si sono proposti come soggetti incisivi del sistema economico planetario. Sono venute meno le schematizzazioni alle quali eravamo abituati; il vecchio equilibrio del terrore nucleare è tramontato, lasciando sul campo gravi problemi di democrazia incompiuta, di bisogni economici e sociali incombenti, che pongono con sempre più forza le necessità di dar corso ad investimenti consistenti, e quindi alla ricerca delle risorse finanziarie da impiegare. A ciò è da aggiungere che cresce il consumo delle risorse naturali ed alimentari, vitali per soddisfare bisogni essenziali e per garantire equilibri geografici ed umani. In questa cornice complessa, necessariamente definita in modo schematico e parziale, si evidenzia la crisi profonda della politica, che stenta a comprendere i fenomeni, razionalizzare gli eventi e le connesse difficoltà ad inquadrarli in un progetto complessivo, che sappia dare prospettiva, speranza, serenità. Ancora più acuta, più complessa quindi di più difficile comprensione appare la situazione politica del nostro paese. Sembrerebbe anzi di poter dire, come avviene per la moneta, che la cattiva politica ha scacciato la buona politica. La situazione appare sempre più complessa, piena di incognite, ed alimenta nelle persone ansie, paure, preoccupazioni e disagi; fenomeni questi forieri di gravi pericoli per la tenuta dell'equilibrio del sistema sociale. Appare sempre più evidente che la politica non ha saputo cogliere la complessità degli eventi che si svolgevano nella società italiana, che non era più impostata su rigidi schematismi e stratificazioni definite, e per molti versi anche facilmente interpretabili: ideologia, religione, famiglia, fabbrica, lavoro. La globalizzazione ha reso obsoleti i capisaldi su cui si era costruita l'economia italiana; la concorrenza, i costi di produzione, l'innovazione tecnologica dei prodotti e dei processi hanno spazzato via la vecchia cultura del lavoro ; prospettando un nuovo modello alternativo basato sulla conoscenza, sulla interazione con gli altri, sull'efficacia e sulla qualità dei servizi. Ciò ha comportato una "rivoluzione copernicana", passando dalla centralità dei soggetti collettivi a quella dell'individuo. Da ciò l'essenza della crisi antropologica che caratterizza le vicissitudini in essere. Si ripropone quindi la questione della buona politica, che sappia e possa governare i nuovi fenomeni complessi su cui vive la democrazia. Ma come non ci può essere vera democrazia senza una buona politica, così non ci può esserci una buona politica senza partiti adeguati ed idonei alla loro funzione e missione. Lo scenario caratterizzante la situazione in atto e la visione prospettica del sistema dei partiti nazionali appare sempre più desolante e preoccupante, sia in conseguenza della endemica incapacità dei partiti a rinnovarsi, per poter trovare efficaci risposte alle rinnovate esigenze di governo del paese; sia per la inadeguatezza progettuale tanto dei partiti,quanto dei nuovi movimenti apparsi più o meno di recente sulla scena politica,e che hanno raccolto in modo consistente il consenso dell'elettorato, in forte movimento. Ma l'elettorato italiano, almeno nella sua grandissima maggioranza, non sembra, come prassi ormai consolidata, interessato a convogliare il consenso elettorale su chi indica, nella durezza della drammaticità, la reale situazione dell'Italia; bensì verso chi persegue il consenso per il potere e non per il governo: così accadeva tempi di ugola La Malfa, così continua ancora oggi. Salvo poi, in preda alla cocente delusione, spostare la propria \ÇzA ftäxÜ|É VÉÄÄâÜt 3 delega verso la brutale e spesso inutile protesta; accentuando in modo parossistico la crisi dei partiti. Questa è la situazione che siamo al momento vivendo. Ciò non attenua affatto la responsabilità dei partiti (che sono sempre gli stessi, al di là dei cambiamenti di nomi, e/o di aggregazioni via intervenuti). In questo momento i due più grossi partiti tradizionali stanno vivendo la crisi più acuta della loro esistenza; lo dimostrano due dati estremamente significativi: hanno perso, accomunati insieme, oltre 25 punti percentuali di consenso elettorale; hanno registrato una drammatica riduzione dei loro iscritti, come documentato dallo studio pubblicato dall'università Bocconi. Non resta quindi che prendere atto del fallimento del così detto "Bipolarismo all'italiana", che ha reso si possibile l'alternanza e la scelta di uno schieramento vincente, ma che nei fatti ha creato le condizioni per l'ingovernabilità. La drammaticità e la forza dei dati economici, finanziari e sociali di quest'ultimi 20 anni di vita del paese lo dimostrano in modo evidente, come verrà documentata in seguito. Per cogliere con maggiore significatività lo stato di crisi dei partiti, basta ricordare quanto scriveva qualche mese fa il noto politologo prof. Ignazi: "in un paese come il nostro, patria della clientela e parentela, con un'amministrazione permeabilissima agli influssi politici e con un ampio settore pubblico, i partiti si sono trasformati in locuste" . Si conferma, in sostanza, la profonda crisi di identità, di ruolo, di prospettiva del sistema nazionale dei partiti, che si concretizza nella loro inadeguatezza rispetto alle esigenze di governo di una società industriale moderna, con profondi problemi di squilibrio sociale e territoriale, con insufficienze estese, con incrostazioni burocratiche e con egoismi diffusi che possono addirittura prefigurare possibili minacce sulla tenuta democratica e sociale della nostra comunità. C'è in sostanza una profonda carenza di leadership dei partiti, evidente ed acute nel PD; mascherata nel PdL dalla personalità preponderante e totalizzante di Berlusconi , ma non meno grave se si valutano con attenzione, al di là delle forme esteriori, i problemi che si pongono in quell'organizzazione politica. In questo contesto appare sempre più problematica la prospettiva che la politica sappia, possa e voglia esprimere una guida prestigiosa e credibile in grado di indicare al paese un'idealità, una meta, un percorso. Manca in Italia l'attitudine a voler conoscere la piena verità sullo stato di salute del paese; la classe dirigente ha sempre fornito una diagnosi narcotizzata. Parallelamente l'elettorato ha generalmente riversato il consenso su quelle forze politiche che gli dicevano le cose che voleva sentirsi dire. Quanta distanza dalla Thatcher, che soleva dire che un leader è tale se sa portare avanti gli impegni di governo che sono essenziali allo sviluppo del proprio paese, non quelli che gli danno un facile consenso elettorale, che deve invece venire in conseguenza della soluzione dei nodi cruciali della vita sociale di una nazione. Non vi è dubbio che alla base del crollo di prestigio e di credibilità della politica e quindi dei partiti agli occhi dei cittadini c'è con forza questa inadeguatezza della classe dirigente, che prima promette ed asseconda i desiderata degli elettori, i quali di buon grado accolgono questi comportamenti demagogici; ma che poi,quando i vari contraccolpi negativi del non governo si trasformano in aumento del peso fiscale e deterioramento dei servizi pubblici,allora tendono a punire con durezza . Da ciò la forte reazione di rigetto dei cittadini rispetto ai problemi del finanziamento pubblico dei partiti; anche alla luce dell'abuso e dello sperpero che i loro dirigenti, con più \ÇzA ftäxÜ|É VÉÄÄâÜt 4 accentuazioni nei livelli locali, hanno fatto e fanno delle risorse finanziarie a loro disposizione. Né d'altra parte si può dire che l'esperienza delle alleanze di ampia intesa (essenzialmente PD - PdL) nell'attuale governo nazionale indichi una diversa linea di marcia dei partiti, in tema di comportamenti demagogici ed elusivi. Ma questo argomento, per la sua portata più ampia e più strategica, richiede una riflessione più specifica più incisiva e più finalizzata. In questa cornice va inserita e "letta" la crisi del Pri, analizzata nelle sue componenti di ordine generale, e negli aspetti più specifici e propri del movimento repubblicano. È evidente che un partito che affonda le sue radici nella storia politica del paese, e che ha mantenuto e conservato inalterato il suo patrimonio di idealità, di cultura,nonché la sua peculiarità di organizzazione caratterizzata, nell'immaginario collettivo, come soggetto politico con forte caratura su temi economici e finanziari della nazione, subisse in modo consistente gli effetti di una crisi profonda del sistema dei partiti. Un "Partito di nicchia" che nella fase della cosiddetta prima repubblica trovava un suo spazio caratteristico è caratterizzato, soffre fortemente la situazione di "bassa" politica, propria dei tempi del bipolarismo barbaro ed inconcludente. La specificità del Pri sui temi dell'economia, della laicità, della sacralità delle istituzioni repubblicane veniva travolta dalle problematiche inutili, pretestuose, dannose che hanno caratterizzato il confronto politico dell'ultimo ventennio. Ancora una volta la cattiva politica ha scacciato via la buona politica. Di questo ne hanno risentito fortemente il Pri ed il paese. Tutto ciò, ovviamente, aiuta a comprendere i motivi della crisi del nostro partito, ma non dà la risposta sui motivi che hanno impedito al Pri di trasformare in opportunità, che pure risultavano possibili, le contingenze negative del sistema politico nazionale. Questo deve essere un tema centrale del dibattito e dello svolgimento congressuale, dal quale deve venir fuori un rinnovato progetto politico per il movimento repubblicano. Tutto ciò, come già accennato in precedenza, postula la necessità di volere incanalare nelle appropriate visioni, dimensioni ed analisi le problematiche delle gravi difficoltà in essere del Pri. È indubbio che un punto di snodo è rappresentato dal congresso di Bari del gennaio 2001. Il partito nei mesi precedenti a tale appuntamento aveva formulato consistenti critiche alla coalizione ed al governo di centro-sinistra, a cui l'elettorato aveva affidato, con la composita maggioranza scaturita dalle elezioni del 1996, la responsabilità della guida dell'Italia. In quegli anni fu assunta la determinazione di aderire sin dall'inizio alla moneta unica (euro). Tale decisione non fu priva di contrasti all'interno della maggioranza, dal momento che Rifondazione Comunista, che sosteneva dall'esterno il governo Prodi, contrastava tale decisione, arrivando alla determinazione di revocargli la fiducia. In quell'occasione fu forte e netta la posizione favorevole all'euro del Pri. Gli ultimi anni della legislatura, con due governi (D'Alema,Amato)instabili politicamente (le elezioni regionali del 2005 avevano sancito la sconfitta della coalizione di centrosinistra e le dimissioni dell'onorevole D'Alema) sono stati caratterizzati da una isteria politica, tanto che fu indicato un candidato leader,l'allora sindaco Rutelli,diverso dal premier in essere,con la sostanziale sconfessione del governo in carica (Amato). In questa anomala situazione si inserisce la proposta formulata dall'allora Segretario nazionale del PRI,di sottoporre all'approvazione del Congresso nazionale la fine della \ÇzA ftäxÜ|É VÉÄÄâÜt 5 partecipazione alla coalizione dell'ULIVO,per instaurare un nuovo ed inedito rapporto politico-elettorale con la coalizione di Centro-destra. A quella scelta fu attribuita una valenza strategica ed una estesa prospettiva politica. Il risultato elettorale del 2001 fu però sostanzialmente negativo per il Pri, che registrò la non elezione dei candidati repubblicani nei collegi uninominali della Camera dei Deputati, l'elezione del segretario nazionale nella lista proporzionale di Forza Italia, e di un senatore nella Lombardia, per effetto dei recuperi conseguenti allo scorporo dei voti. A seguito di tale risultato, il segretario nazionale rassegnò le sue irrevocabili dimissioni. Tutta questa ricostruzione per evidenziare il senso della grave crisi che caratterizzò le vicissitudini del Pri; una crisi profonda che non può essere ricondotta esclusivamente al negativo risultato elettorale, ma che evidenziava invece l'estensione e la profondità del disagio che attraversava tutto il movimento repubblicano. Su ciò è utile riflettere,anche per comprendere meglio le problematicità che caratterizzarono i successivi anni di vita del Pri. Probabilmente non fu preparata adeguatamente la svolta politica che si voleva imprimere al partito con il congresso di Bari; mentre era stata condotta una critica profonda all'esperienza di governo di centro-sinistra. Non apparivano forse evidenti,almeno ad una parte dei repubblicani, quale fossero il progetto politico ed i contenuti programmatici che motivavano la determinazione di una nuova alleanza per il Pri. Si creò invece un certo scompenso all'interno del partito, e probabilmente una situazione di stupito disaggio nel bacino elettorale tradizionale repubblicana. Da ciò scaturì la soluzione di sostanziale "governante duale" che il consiglio nazionale definì con l'elezione di un nuovo segretario e del presidente del partito, carica quest'ultima al momento non ricoperta. Durante quella legislatura si accentuarono le difficoltà economiche e finanziarie complessive del paese. Né il ritorno al governo di un esponente del Pri con l'incarico di ministro comportò al partito particolari effetti di recupero di ruolo nel quadro politico nazionale. Nella crisi generale della coalizione di centro-destra, che fu sconfitta alle elezioni politiche del 2006 ,ne rimase coinvolto lo stesso Pri; anche se la coalizione alternativa non ebbe il risultato sperato, e si crearono le condizioni per una continua instabilità del quadro politico nazionale, che sfociò,dopo appena due anni di vita della legislatura, nelle dimissioni del governo Prodi,e nello scioglimento anticipato del Parlamento. Nello scorcio di quella legislatura, il Pri manifestò la sensazione di voler avviare una fase di riflessione circa l'azione e l'impegno politico del partito nella geografia politica nazionale. Si crearono i presupposti per la elaborazione da parte del Pri di un progetto politico che si collegasse alle esperienze ed alla cultura della tradizione europea liberaldemocratica. In quest'ottica vanno collocati i due successivi eventi assunti dal partito: il convegno di Milano del 2007, e la lettera inviata dal segretario nazionale al ministro Padoa-Schioppa, allora responsabile dell'economia nel governo Prodi; mantenendo pur sempre una posizione di opposizione al governo stesso. Entrambe le iniziative avrebbero dovuto essere funzionali all'esigenza di dare una rinnovata caratterizzazione all'azione politica repubblicana. Purtroppo non fu possibile dare concreta continuità e prospettiva, sia per una non maturata convinzione del partito di dare ulteriore sviluppo ai due impegni, sia perché la sopraggiunta crisi di governo portò, come prima accennato, ad elezioni politiche anticipate nel 2008. Il Pri scelse \ÇzA ftäxÜ|É VÉÄÄâÜt 6 ancora una volta la coalizione di centro-destra , interrompendo nei fatti il processo che era stata avviato . Il risultato elettorale indicò un forte successo della coalizione guidata da Berlusconi, che ottenne una consistente maggioranza numerica in entrambi i rami del Parlamento. Il Pri, invece, registrò la non elezione del suo unico senatore, in conseguenza della non felice collocazione che gli era stata riservata nella lista del PdL . In quanto primo dei non eletti, ottenne a distanza di qualche tempo il rientro in Parlamento a seguito di eventi non politici. Conseguentemente nella fase iniziale della legislatura, il Pri fu presente con due deputati; ma nel contempo si innescò nel partito una situazione di estrema tensione, perché dei due deputati ,il segretario, in linea con la tradizione, aderì al gruppo misto, mentre l'altro si iscrisse, con scelta autonoma, al gruppo parlamentare del PdL, e venne inserito, per rappresentare quel gruppo politico, nella delegazione parlamentare NATO. Dopo ripetute sollecitazioni a desistere dalla scelta frazionistica, rimaste sempre senza successo, la direzione nazionale nel mese di luglio deliberò, all'unanimità dei presenti, la sospensione del suddetto parlamentare, a decorrere dal successivo mese di settembre, per consentirgli così un ulteriore possibilità di ripensamento. Il successivo mese di ottobre, finalmente, si sanò la situazione, con la iscrizione alla componente repubblicana,liberal-democratica del gruppo misto stesso . Inoltre, anche se la questione non arrivò mai all'attenzione degli organi statutari, quest'ultimo deputato ebbe a sollecitare ripetutamente, in via privata, le dimissioni del segretario nazionale, per procedere ad un avvicendamento nell'incarico con una terza persona. La dura polemica apertasi all'interno del partito fu molto aspra; gli eventi che la caratterizzarono sono fatti recenti a tutti noti. Ma la situazione creatasi instaurò uno stato di grave crisi all'interno del partito, che si è trovato poi a dover rispondere all'incalzante pressione esterna affinché il Pri aderisse al costituendo partito PdL. Su questa questione venne convocato un consiglio nazionale del partito, che si determinò non certamente con una decisione del tutto definita, anche se una parte consistente, tra cui anche il secondo parlamentare, era sostanzialmente incline a far convergere il partito nel PdL. Infatti fu deciso di affidare una delega totale al segretario nazionale, il quale, in fase di assemblea costituente del PdL, avrebbe definito la posizione da fare assumere al partito. Solo a conclusione di quella manifestazione fu possibile constatare che il segretario nazionale non aveva acconsentito a far confluire nel nascente nuovo partito il glorioso Pri. Nei mesi successivi, poi, senza che nel frattempo fossero intervenuti eventi politici particolari, lo stesso deputato propugna con forza, in tutte le occasioni possibili, l'opportunità che il Pri interrompesse la collaborazione con il PdL . intanto la situazione economica, occupazionale e sociale del paese evidenziava forti segnali di deterioramento. Il Pri continuò a porre con sempre più insistenza la questione di una idonea ed efficace governabilità dell'Italia, e maturò in modo molto netto la convinzione di dar vita, come risposta politico-operativa, ad una sua caratterizzazione più spiccatamente liberal-democratica europea. Per raggiungere questo obiettivo, si scelse, nell'incomprensione e nella diffidenza iniziale, il percorso del congresso a tesi; per potere così imprimere un forte spirito di rinnovamento della linea politica e dei contenuti programmatici. Per dar consistenza a questo obiettivo fu compiuto un complesso ed importante lavoro preparatorio, che trovò il compimento n1ell'assise nazionale del partito del febbraio 2011. Fu quella l'occasione per definire la prospettiva \ÇzA ftäxÜ|É VÉÄÄâÜt 7 politica nella direzione della costituente repubblicana, liberal-democratica; e su questa base si ottenne anche l'importante risultato di una ritrovata unità con altre organizzazioni politiche repubblicane che avevano sviluppato un'autonoma struttura. Le tesi congressuali approvate dal congresso rappresentavano un momento di incisivo impegno programmatico, che avrebbe potuto consentire al Pri di formulare precise indicazioni in termini di programma di governo per il paese. Il movimento repubblicano recuperava la sua peculiarità di partito dei contenuti, che gli avrebbe potuto consentire di aprire un confronto ed un dialogo con tutte le forze politiche nazionali. Funzionale a questa strategia era l'affermazione dell'autonomia politica del Pri; ed infatti la mozione congressuale finale indicava chiaramente tale esigenza. La tensione apertasi all'interno del PdL, con il contrasto Berlusconi-Fini, incise anche sul percorso politico del Pri. Infatti il governo vedeva significativamente ridotta la sua maggioranza parlamentare, proprio nel momento in cui la crisi nel paese incalzava, e l'esecutivo non riusciva a venirne a capo. Fu in questa situazione che il partito, mentre riaffermava l'autonomia politica, indicava nel contempo il suo vincolo di "lealtà" verso la pur malferma e menomata maggioranza di centro-destra. Ciò destava perplessità all'interno ed all'esterno del partito; conseguentemente si contestava al Segretario del Pri che la lealtà di un partito non può essere un atto predefinito, ma deve discendere dalla continua verifica di una constatazione politica di efficacia operativa del governo stesso, nonché dalla verifica delle opportune convergenze programmatiche. A ciò è da aggiungere che non ha certamente giovato alla nuova prospettiva politica del Pri l'iniziativa del cosiddetto "gruppo dei Responsabili" , che caratterizzandosi essenzialmente come un insieme di parlamentari di varia estrazione con l'obiettivo apparente di conquistare quote di potere governativo, voleva fornire un supporto operativo al governo, che vedeva sempre più compromesso il suo raggio di azione. A tale evento venne collegato,forse inopinatamente, anche il nome del segretario nazionale del Pri, che nonostante avesse chiaramente manifestato la sua indisponibilità, ripetutamente esternata anche all'allora premier Berlusconi, ed ufficialmente espressa in diverse occasioni ai mass-media , venne indicato come il possibile capogruppo di questa aggregazione parlamentare. I due eventi furono utilizzati all'interno del partito per dar vita ad una iniziativa politica parallela di sponsorizzazione del cosiddetto terzo polo, animato da Casini-Fini-Rutelli; provocando anche divisioni traumatiche in occasione di votazioni parlamentari. Gli effetti di tutto ciò furono le note determinazione del collegio nazionale dei probo-viri, che produssero ulteriore tensione nel corpo del partito, già fortemente toccato dallo svolgimento degli eventi prima indicati. La fine traumatica del governo Berlusconi nel novembre 2011 apriva una fase nuova della vita politica nazionale, ed in questo senso si potevano porre i presupposti per una diversa ed attiva azione del partito, in termini di una più accentuata autonomia politica. In questa fase, il partito ha sviluppato un significativo impegno nel rapporto con il governo dei tecnici, e nell'approfondimento e nell'aggiornamento dei principali aspetti programmatici del governo del paese. Al presidente del consiglio Prof. Monti, il Pri non ha mai fatto mancare un forte e convinto sostegno in Parlamento ,ed un continuo apporto di contributi diretti di idee e di proposte, concretizzatesi queste ultime in due lettere del segretario nazionale, dense di \ÇzA ftäxÜ|É VÉÄÄâÜt 8 contenuti fortemente innovativi, che se adeguatamente utilizzati avrebbero prodotto significativi benefici al paese. Ed anche il lavoro sui contenuti ha prodotto un documento con le caratteristiche di un originale e complesso progetto di governo dell'Italia, approvato dal consiglio nazionale del 1 dicembre 2012. L'incalzare della crisi politica, accentuata dalle decisioni del PdL di "notificare" la venuta meno del suo impegno organico nella maggioranza parlamentare che sosteneva il governo dei tecnici, ha fortemente condizionato il complesso iter necessario al Pri per rendere incisiva e apprezzabile compiutamente l'intensa produzione politica messa in campo. Da ciò la difficoltà operativa, che scontava anche la non compiuta indicazione di autonomia politica del Pri. Almeno così, al di là dell'efficacia più o meno significativa degli atti compiuti, è apparsa l'immagine del partito agli occhi degli esterni che osservavano l'azione politico-parlamentare dei repubblicani. A ciò è da aggiungere che alcuni movimenti politici, contigue per impostazione programmatica e con una accentuata caratterizzazione personalistica, toglievano agibilità politica, proprio a causa della complessità del percorso evolutivo in atto nel Pri. In vista dell'ormai ineludibile e prossima campagna elettorale, al partito si ponevano due opzioni: portare sino in fondo, anche a lavoro non compiuto, l'indicazione dell'autonomo impegno elettorale, anche scontando la non presenza in Parlamento; oppure ripercorrere la pregressa esperienza di ricercare presenze in liste di altri soggetti politici. Il partito, nei suoi organi statutari, scelse questa seconda alternativa, che però non fu foriera di effetti positivi. Fu per questo motivo che il partito decide a questo punto di dar corso alla presentazione di liste autonome nella competizione elettorale che ormai era stata indetta. Ma la determinazione assunta, anche a causa di eventi non politici, ebbe conclusioni non certamente brillanti, dal momento che si presentarono liste in due sole regioni; in una situazione di partito certamente confusa e quindi di limitata efficacia. Forse è mancata in quella fase concitata la sufficiente visione strategica del problema, anche per i motivi non politici di cui si è prima accennato. Il lungo percorso di analisi della crisi del Pri ha comunque evidenziato un dato di fatto incontrovertibile: il partito ha le credenziali, le potenzialità, la volontà di rappresentare un punto di riferimento, soprattutto in questo momento di vulnerabilità della politica, nello scacchiere nazionale; in ciò sostenuto dal suo forte bagaglio di idealità, dalla sua cultura e dalla potenzialità progettuale, elementi tutti questi utili per le prospettive evolutive del paese. Il superamento della crisi del Pri è a questo punto affidato alle determinazioni che verranno assunte dal prossimo congresso nazionale; a tale assise spetterà il compito di sciogliere i nodi politici ed organizzativi che hanno in diverse occasioni impedito un'efficace azione politica del partito. Il paese, l'economia, lo sviluppo. L'Italia è la stella polare nell'azione del movimento repubblicano; i migliori esponenti del repubblicanesimo impegnati in politica hanno avuto come centro, come obiettivo della loro azione essenzialmente le prospettive,e l'evoluzione del paese: cioè la democrazia repubblicana, senza la quale possono venir meno i principi della convivenza civile ed il rispetto per la centralità della persona. Ma quanto è lontana oggi l'Italia da quell'approdo, e quindi dalla partecipazione a pieno titolo al consesso delle nazioni moderne, sviluppate, europee ed occidentali.? Si direbbe tanto, forse troppo. \ÇzA ftäxÜ|É VÉÄÄâÜt 9 L'ultimo rapporto dell'OCSE sulla congiuntura economica mondiale indica che i più importanti paesi, a conclusione del secondo trimestre 2013, sono usciti dalla lunga fase di recessione. L'unico tra i membri del G - 8 a persistere ancora nella fase recessiva è l'Italia, che registrerà ancora variazioni negative di Pil anche nei due finali trimestri dell'anno in corso. Quindi la nostra economia troverà la strada dello sviluppo , se la troverà, con notevole ritardo rispetto ai paesi nostri principali concorrenti. Si conferma così la forte perplessità espressa a suo tempo dal Pri, quando nel 2011 le forze di governo affermavano che l'Italia sarebbe uscita dalla crisi globale prima e meglio degli altri paesi: viviamo ancora gli effetti di quella incomprensibile ed insostenibile affermazione . Non c'erano allora i presupposti per affidarsi a un tale ottimismo di maniera. Infatti il nostro sistema economico produttivo era stato investito dallo tsunami della recessione mondiale prima ed in modo più violento rispetto agli altri paesi; documentammo tutto ciò nella tesi congressuale sulla competitività; indicammo, in ciò sostenuti da uno studio della Banca d'Italia, che proprio a causa della maggiore debolezza cronica e vulnerabilità dell'Italia, causata dalla sua continua e costante perdita di competitività, il nostro paese subiva prima ed in modo più consistente gli effetti delle crisi finanziarie mondiali, e che riusciva ad riemergere dalla crisi con maggiore fatica ed in un lasso di tempo più lungo. E di questi ultimi giorni la pubblicazione del rapporto annuale del World Economic Forum (W E F), che registra l'ulteriore retrocessione di posizione dell'Italia nella speciale classifica mondiale sulla competitività; l'Italia, retrocedendo di due posizioni, si attesta al 45º posto, mentre Germania, Inghilterra e Francia si attestano entro le prime 10 posizioni in graduatoria. Comunque tutti i paesi nostri concorrenti registrano significativi miglioramenti di competitività. Da ciò le infauste previsioni per il 2014, elaborate dall'OCSE, che indicano per l'Italia un tasso di disoccupazione del 12,5%, a fronte del 4,8% della Germania, dell'11,1% della Francia, e di una media per i paesi del campione OCSE dell'8,0%. Continuerà quindi nel prossimo anno la grave situazione occupazionali in generale, ed in modo più drammatico per i giovani e le donne. Ma tutto il sistema sociale ed economico dell'Italia è investito da una crisi profonda, che lo rende fragile e senza difesa di fronte agli effetti negativi delle crisi economiche locali e globali. Il nostro paese è la prima frontiera a crollare; e così è stato dopo il 2007, allorché si manifestarono i prodromi di eventi recessivi, perché è senza difese per i rigidi vincoli imposti dal debito sovrano, che sostanzialmente impediscono qualsivoglia manovra congiunturale di bilancio o fiscale. Per la fragile struttura del sistema industriale, caratterizzato dal fenomeno del "nanismo" delle aziende produttive, nonché dalla cronica ed ormai strutturale fragilità finanziaria, conseguente all'insufficiente livello di patrimonializzazione, ed alla ridotta redditività del fatturato. Alla minore propensione all'innovazione di prodotto e/o di processo, conseguente al basso livello di investimenti in ricerca e sviluppo, rispetto all'impegno invece profuso dal sistema industriale dei paesi ad economia produttiva avanzata. Alla rigidità complessiva del sistema lavoro, regolato da una legislazione che impone seri vincoli strutturali e formali al processo di evoluzione dinamica del nostro sistema produttivo, che non può rispondere con immediatezza ed efficacia agli eventi congiunturali negativi esterni. Un sistema formativo e scolastico che stenta a trovare, anche a causa dei continui e mai risolutivi interventi di riforme legislative, un assetto in sintonia e funzionale all'economia di un Paese di moderna \ÇzA ftäxÜ|É VÉÄÄâÜt 10 organizzazione sociale ed economica. Un assetto produttivo pubblico del tutto anacronistico ed insufficiente a sostenere la dinamica, l'innovazione e la crescita di una nazione dell'Occidente avanzato. In questo contesto un aspetto di particolare negatività è rappresentato dal cattivo funzionamento del sistema giudiziario, e di quello civile in particolare. Il risultato di tutto ciò è significativamente riepilogato e rappresentato dal dato relativo al costo del lavoro per unità di prodotto (Clup) del sistema Italia, che è di gran lungo il più alto rispetto ai paesi concorrenti dell'Europa e del mondo. Sono tutte queste alcune delle cause della stagnazione in atto nel nostro paese; e soprattutto dello stato di forte precarietà , che fa sì che l'Italia possa essere risucchiata in qualsiasi momento in una situazione di recessione ancora più profonda, qualora il sistema mondiale non dovesse riuscire a consolidare la incipiente ed ancora fragile fase di sviluppo e di crescita. L'Italia paga un prezzo così eccessivo ed anomalo principalmente a causa dell'inadeguatezza del sistema politico nazionale a comprendere, gestire e correggere un percorso sbagliato, che si svolge dalla fine degli anni 80, e che ha visto una parossistica accentuazione nell'ultimo ventennio. Dobbiamo, quindi, convenire che la crisi del paese si manifesta in termini economici e finanziari, ma che le radici e le fondamenta sono nella politica. Conseguentemente e sulla politica del paese che va finalizzata l'azione di ammodernamento e di rinnovamento; senza una tale azione non sarà possibile costruire un efficace e duraturo progetto di rilancio, rinnovamento e sviluppo del sistema economico e sociale. Il paese infatti non sarà mai nelle condizioni complessive di rispondere con tempestività ed efficienza alle sollecitazioni periodiche di cambiamento che provengono dall'esterno, e che sono quasi fisiologiche in un sistema di economia globale e di tipo capitalistico. Ma dare una risposta seria a questo problema dell'Italia non è semplice, e nemmeno gratificante, e tanto meno foriero di riconoscimento ed apprezzamento di ordine politico-elettorale. Le conseguenze, le necessità e le priorità economiche e sociali del paese non si coniugano sinergicamente con gli obiettivi politici dei partiti nazionali. Da ciò l'inadeguatezza e l'insufficienza dei governi,a tutti i livelli istituzionali, a pensare, programmare, progettare e realizzare un' adeguata ed idonea amministrazione, in senso lato, della nazione. Servirebbero partiti lungimiranti, con un' alta considerazione della loro funzione; perché drammatica ed incalzante è la crisi che incombe sul presente e sul futuro dell'Italia. Il Pri ha tentato ciclicamente di rendersi promotore attivo ed incisivo di un tale impegno: lo ha fatto con Ugo La Malfa e la sua nota aggiuntiva, finalizzata a portare nel paese una nuova cultura del confronto sociale attraverso la politica dei redditi; con Spadolini e la sua azione di guida di governo illuminata e foriera di prospettive; ancora di recente anche con le tesi congressuale dell'ultimo congresso nazionale. Non sono stati tentativi che hanno trovato la giusta attenzione e considerazione presso l'elettorato nazionale; ma ciò non vuol dire che bisogna desistere dal proporre una buona politica per l'Italia, anche se la cosa presenza tuttora estreme difficoltà. Abbiamo detto come in Italia manchi l'abitudine e l'attitudine da parte dei cittadini a voler conoscere la piena verità sullo stato di salute del paese; conseguentemente la classe politica non si sente sollecitata a fornire risposte adeguate alle esigenze del paese, ma \ÇzA ftäxÜ|É VÉÄÄâÜt 11 spesso si limita ad assecondare,e/o a prospettare soluzioni governative che, rispondendo a pressioni di categorie e ad interessi particolari, rendono sempre più perniciosa la situazione complessiva della collettività. Per cui oggi quando le forze politiche parlano di porsi in sintonia con il paese, non pensano alla formulazione di programmi efficaci ed in grado di risolvere i problemi nazionali, ma a come compiacere le aspettative egoistiche dell'elettorato di riferimento. Questo aspetto, sempre presente, è reso più accentuato nella vita della cosiddetta seconda Repubblica. La questione centrale è quindi come rompere questo circolo vizioso per rendere consapevoli i cittadini e responsabili le classi politiche. Questa esigenza evidenzia un'ulteriore anomalia del rapporto classe politicacittadini, e riguarda la sistematica incapacità congenita nel nostro paese di predisporre tutti gli strumenti necessari a far fronte agli impegni, specialmente quelli in materia economica e finanziaria, che i vari governi, in nome del paese, assumono nelle più diverse situazioni ed istituzioni. Questo è il caso, solo per citare qualche esempio significativo, della decisione a suo tempo assunta, attraverso l'affermazione dell'autonomia della Banca d'Italia, di eliminare l'obbligo per la nostra banca centrale di acquistare i titoli del debito pubblico non collocati; o ancora gli obblighi assunti con il trattato di Maastricht; e da ultimo proprio gli impegni sottoscritti per il fiscal compact, e per il raggiungimento entro il 2013 del pareggio strutturale del bilancio nazionale. In tutti questi casi, agli impegni assunti non ha corrisposto l'individuazione e l'approvazione dei provvedimenti essenziali per farvi fronte. Un altro aspetto della endemica difficoltà nazionale è rappresentato dal dato che un valente costituzionalista, oltre che brillante collaboratori di giornali, riassume nel termine: "Le troppe leggi rimaste vuote". Si tratta di tutti quei provvedimenti assunti di volta in volta dai vari governi e che poi non riescono a produrre alcun risultato pratico, se non quello dell'effetto annuncio. E' il caso, ripreso a puro titolo indicativo, ma certamente non esaustivo del fenomeno, della legge sui prestiti di onore agli studenti universitari, varata nel 2011 dal governo Berlusconi, che ha sollecitato al momento l'interesse di appena 597 studenti. Oppure ancora di tutte quelle leggi approvate, anche dopo aspri scontri politici, ma che poi richiedendo complessi provvedimenti connessi all'emanazione di regolamenti, e/o di atti applicativi amministrativi, perdono cammino facendo di efficacia, oppure entrano in vigore a distanza di lungo tempo. Rientrano in questa fattispece alcuni provvedimenti del governo Monti che, anche dopo che aveva cessato la sua attività, non erano ancora divenuti compiutamente efficaci perchè in attesa del completamento dell'iter amministrativo. Lo stesso dicasi per la riforma dell'università (Gelmini) varata dal governo Berlusconi, che stentava ad entrare in vigore, perché in attesa dell'approvazione di circa 100 regolamenti attuativi. È un paradosso tutto italiano che provvedimenti legislativi, che apparivano di vitale importanza ed urgenza, tanto da usufruire dello strumento del decreto-legge, subivano poi l'inerzia della gestione burocratico -amministrativa. Le conseguenze di tale comportamento hanno prodotto due effetti catastrofici sul sistema Italia: il primo è stato l'esplosione della spesa pubblica (non indirizzata, non controllata, non finalizzata), con le conseguenti ricadute in termini di aumento continuo del deficit di bilancio, del debito pubblico, dell'aumento del peso fiscale per cercare di far \ÇzA ftäxÜ|É VÉÄÄâÜt 12 fronte ad un tale insostenibile e patologico incremento; comprimendo inoltre, sino a toccare livelli di assoluta insufficienza, gli interventi finanziari in conto capitale, rendendo così più ardue le prospettive delle generazioni future. Il secondo effetto si evidenzia nel forte degrado competitivo del sistema paese, di cui abbiamo in precedenza accennato. Entrambi i due effetti sono stati ampiamente affrontati, analizzati e definiti adeguatamente nella loro genesi, evoluzione e situazione in essere nei due documenti ufficiali del Pri: le tesi congressuale, ed "Il programma liberaldemocratico" approvato dal consiglio nazionale dell'1/12/2012. Oltre a conservare tuttora la loro piena efficacia, i due documenti evidenziano un risvolto molto particolare: per la prima volta un partito politico nazionale ha affrontato con un'ottica completa e profonda tutta la problematica relativa ai processi di competitività e sviluppo dell'Italia, paese dell'Occidente industrializzato, nel contesto di un'economia mondiale, con i conseguenti connessi vincoli, e con gli indiscutibili benefici che ne derivano da un tale "status". Purtroppo una certa inerzia culturale ed una difficoltà oggettiva a cogliere la forte valenza e peculiarità delle proposte da parte di alcuni elementi significativi del movimento repubblicano, in difficoltà rispetto al percorso a tappe forzate messo in atto , hanno sostanzialmente depotenziato la portata del complesso lavoro; da ciò l'affannoso, e forse confuso comportamento del partito in occasione della recente campagna elettorale nazionale, e di cui abbiamo già fatto cenno, in riferimento alla situazione di crisi del partito. Ma la strada da percorrere non può che tornare ad essere quella definita dalla mozione conclusiva del consiglio nazionale dell'1/12/2012. Chiusa questa utile digressione, riprendiamo l'analisi della crisi profonda del paese. Fa ciclicamente capolino una perniciosa teoria, secondo la quale i nostri guai potrebbero discendere dai vincoli di appartenenza alla comunità (quasi) politica, economica e finanziaria europea, nonché dal suo allargamento all'attuale complesso di 28 paesi (si è aggiunta di recente la Croazia). Anche l'ex ministro Tremonti, alle prese con le gravi difficoltà dell'economia dell'Italia, faceva risalire le cause della difficoltà in atto all'accentuato processo di liberalizzazione dei mercati mondiali, con una accentuata critica per l'ingresso della Cina e degli altri paesi emergenti (i cosiddetti BRICS)nel W T O. Entrambe queste due singolari teorie ritenevano che fosse più opportuno rinchiudersi in recinti ristretti e protetti, piuttosto che attrezzarsi adeguatamente per cogliere le immense prospettive che possono derivare dall'operare in così ampi mercati. Utilizzando questi espedienti fuorvianti, si pensa di poter contrapporre ad un problema strategico e strutturale, qual è la competitività di un sistema paese, una soluzione del tutto inefficace, perché fuori dal tempo e dalla cultura incombente. Ma la strada da percorrere è quella tracciata dai paesi europei nostri concorrenti, in primis dalla Germania, l'Inghilterra e la Francia,che si sono per tempo attrezzati per questo impegno; per non parlare dei paesi minori del Nord Europa. Sembra di rivivere le ormai note polemiche tra Ugo La Malfa ed i vari presidenti di turno di Confindustria all'epoca dell'adesione dell'Italia al mercato unico europeo. Si sono visti poi i grandi benefici, già ipotizzati da Ugo La Malfa, conseguiti dal nostro sistema economico produttivo per effetto di una scelta così importante e lungimiranti. Ma allora c'era una classe politica diversa e più consapevole, e meglio in grado di cogliere le esigenze del paese. \ÇzA ftäxÜ|É VÉÄÄâÜt 13 E questo il nodo che la classe politica italiana non ha saputo e voluto sciogliere, ed è questa la causa prima dei nostri mali. Abbiamo detto che l'Italia, se non sopraggiungeranno nuovi problemi dall'economia mondiale, supererà buon ultima la situazione di recessione in atto,sperabilmente alla fine dell'anno in corso. Ma ciò non vuol dire che il paese avrà risolto i propri problemi e troverà davanti a sé una situazione tranquilla e di positiva prospettiva; tutt'altro. L'Italia, nonostante i grandi sacrifici affrontati, si trova tuttora in una stato di equilibrio instabile. E' come un naufrago che è riuscito ad attestarsi su uno scoglio; ma è circondato da marosi di inaudita intensità, che in qualunque momento possono risucchiarlo nei vortici della tempesta marina. Il naufrago (il paese) si salverà se saprà attrezzare un ancoraggio efficace e durevole, che lo possa difendere dalle calamità esterne. L'Italia si salverà se saprà compiere tutto il percorso di innovazione,e di riforme per lo sviluppo essenziali per reggere l'urto della concorrenza nel mercato globale. L'alternativa a tale impegno non esiste, se non il declino continuo e costante, e non degno di un grande e nobile paese quale l'Italia. Da questa constatazione dobbiamo partire per individuare proposte concrete per incentivare e sostenere l'atteso ed auspicato inizio della ripresa, affinché la stessa non si disperda già nella sua fase iniziale. Va aggiunto che il raggiungimento del risultato è possibile, ma non scontato. I pericoli di ripiombare nella recessione sono tutti presenti, perché forte e gravi sono stati i danni inferti al sistema Italia. La necessità di sintesi nella trattazione delle problematiche non consente la lunga e complessa analisi che sarebbe necessario espletare; comunque già ampiamente svolta dal Pri nei due documenti ufficiali più volte richiamati prima , rispettivamente del 2010 e del 2012. La domanda, però, da porsi, e rispetto alla quale non è possibile eludere la risposta, è: se in quest'ultimo ventennio la crisi dell'Italia ha raggiunti i livelli parossistici richiamati, nonostante il cambiamento della geografia dei partiti rispetto alla prima Repubblica; e sebbene si sia ampiamente concretizzata l'opzione dell'alternanza alla guida del governo tra schieramenti alternativi (negli ultimi vent'anni c'è stato l'avvicendamento di coalizione per cinque volte), la situazione di dissesto si è sostanzialmente cronicizzato, ciò vuol dire che la diagnosi non può essere limitata agli aspetti tecnici , economici e finanziari, ma investe in pieno la politica, anzi è in essa che potrebbe annidarsi la causa profonda, e dalla politica può e deve scaturire la risposta e la proposta risolutive. Ma se i due schieramenti, che fanno perno rispettivamente sul PdL (centro-destra) e sul PD (centrosinistra), prima nello schema dell'alternanza, e dalla fine del 2011 nell'esperienza di comune collaborazione, non sono stati in grado,sino ad ora, di dare le adeguate decisive risposte, come è pensabile che ciò possa avvenire domani, se lo scenario politicopartitico resta immutato? Questa è la questione centrale che dovrà affrontare il prossimo congresso nazionale del Pri, ed è per questo che è necessarie delineare , già da questa relazione,gli elementi fondamentali del "Progetto Repubblicano", tali da consentire poi, in un eventuale apposita sessione congressuale, la puntuale e compiuta predisposizione del progetto stesso. \ÇzA ftäxÜ|É VÉÄÄâÜt 14 Ma un altro aspetto della crisi dell'Italia necessita di una specifica attenzione, che al momento non sembra sufficientemente attivata: riguarda i problemi e gli effetti finanziari innescati nella spesa corrente, nel deficit pubblico, e quindi sul debito sovrano, dal governo degli enti locali, nelle varie articolazioni. Basta a tal proposito ricordare solo alcuni dati aggregati per comprendere il ruolo negativo di queste strutture politicoistituzionali. Circa il 75% del debito commerciale della pubblica amministrazione nei confronti delle aziende private è stato prodotto dagli enti locali e dalle strutture gestionali a loro riconducibili;il prelievo fiscale di loro competenza si è incrementato in 15 anni (1996-2011) del 114%, passando da 47 miliardi di euro a 102 miliardi (ultimo dato disponibile 2011). A ciò sono da aggiungere le possibili sopravvenienze passive, eventualmente "giacenti in letargo",ed oggi ancora non evidenziate data la particolarità dei bilanci del sistema aziendale "satellitare" degli enti locali. Nell'insieme siamo in presenza di un problema di dimensioni non trascurabili, al momento ancora non sufficientemente studiato ed approfondito. In sostanza la "questione Paese" è certamente molto più complessa e più grave di quanto i soli conti pubblici centrali possono darne contezza. L'Europa. Senza in nulla minimizzare i problemi specifici dell'Italia (i nostri compiti a casa), è però indiscutibile che solo in una prospettiva politica "con più Europa" risiede la complessa e completa risposta del futuro del nostro paese. Uno studio molto recente del Foreign Office ha evidenziato che alla fine del prossimo trentennio nessuno dei paesi dell'Europa, nemmeno la Germania anche se proseguisse con un ritmo di crescita molto più consistente dell'attuale tasso di sviluppo, potrebbe reggere il confronto competitivo, sia economico che politico, con le potenze degli Usa, della Cina e degli altri popoli che già oggi incalzano con i loro accentuati, anche se squilibrati, programmi commerciali e finanziari. Solo l'Europa, come un unitario ed integrato soggetto politico ed economico, potrebbe continuare a ricoprire un ruolo di attore significativo nello scacchiere mondiale. Ma "più Europa" non può voler dire più unione (vincoli?) economica e/o finanziaria, ma essenzialmente più forte integrazione politica, che deve estrinsecarsi in un'unica politica estera , quindi un unico soggetto attivo nell'Onu, e conseguentemente nel consiglio di sicurezza; una sola strategia militare, in grado di assumere sempre più significativi livelli di responsabilità operativa nei teatri di crisi mondiale; un'unica politica economica-monetaria per consentire un'azione integrata ed organica sulle tematiche del debito sovrano, della leva fiscale-tributaria, dell'allocazione delle risorse finanziarie comunitarie secondo un disegno organico, definito e fortemente finalizzato alla soluzione dei gravi problemi strutturali del continente, quali la competitività, la crescita, lo sviluppo occupazionale. Questi sono tutti grossi macigni sulla strada del futuro dell'Europa. La risposta logica e consequenziale alle questioni prima evidenziate è la realizzazione degli Stati uniti dell'Europa federale. È questo l'obiettivo fondamentale ed ambizioso per l'Italia, ma anche "un sogno ed una speranza" per il movimento repubblicano, sin da quando Mazzini passò, nei suoi progetti politici, dalla "Giovine Italia" alla Giovine Europa". All'opinione pubblica di allora, questa prospettiva appariva come un'utopia fuori da ogni speranza ed immaginazione; oggi viene spesso vissuta come una entità alla quale delegare, se del caso, qualche briciola di potere politico \ÇzA ftäxÜ|É VÉÄÄâÜt 15 nazionale; e solo dopo lunghe, defatiganti e tortuose trattative comunitarie tra i governi nazionali. Ma l'approdo alla soluzione politica federale è ineluttabile, perché le analisi oggettive sulle prospettive e le difficoltà future di ogni singolo paese dell'unione lo rendono tale; il problema è come accelerare il percorso ed il processo, fissando prima possibile il momento di approdo. Ciò necessita, in via prioritaria, che si avviino a soluzione diverse questioni, che invece perdurando comporterebbe necessariamente insopportabili ostacoli al processo di unione federativa. Riguardano, in primis, la posizione dell'Inghilterra, che si trova in una situazione molto particolare, dal momento che non sembra in grado di sciogliere in via definitiva il nodo della sua permanenza stabile e definitiva nell'ambito dell'unione europea. I governi di quel paese, sino ad ora, non sono stati in grado di assumere una decisione chiara, e sciogliere così il quesito; non riescono nemmeno a fissare con certezza tempi e modi di svolgimento della possibile consultazione popolare che dovrebbe dirimere definitivamente l'annosa questione. Il problema per l'Inghilterra è certamente molto delicato, e la preferenza della popolazione sembrerebbe propendere verso la risoluzione del rapporto con la U E . Ma le valutazioni complessive ed oggettive impongono attente riflessioni. A tal proposito è utile ricordare il rapporto della segreteria di Stato degli Usa, che indica chiaramente la opportunità che l'Inghilterra rimanga un soggetto attivo ed essenziale dell'unione europea, riaffermando che lo storico rapporto politico speciale tra i due paesi è utile e proficuo soprattutto nell'ottica europea; ma perderebbe di efficacia se è svincolato da tale contesto. Questa determinazione degli Usa sembrerebbe aver aperto una seria riflessione all'interno della politica inglese,ed il richiamato rapporto del Foreign Office è un dato preciso. Forse le recenti decisioni negative del Parlamento sul coinvolgimento militare nel caso Siria potrebbero essere anche una reazione alla decisione della segreteria di Stato americana. L'alta questione riguarda la dicotomia in essere tra i paesi che si sono impegnati nel percorso ambizioso (indicativo di una volontà unitaria) della moneta unica (l'euro), e i restanti Stati che hanno voluto mantenere la propria specifica moneta,dato questo che potrebbe essere indice di una non convinta volontà di progresso dei rapporti unitari. Ciò crea problemi non trascurabili, sia di ordine politico, dal momento che si è in presenza di un Parlamento europeo con rappresentanti di Stati con differenti monete, che possono indurre differenti comportamenti e determinazioni in un terreno di estrema delicatezza ed importanza qual è quello monetario. Inoltre con il Parlamento europeo è previsto ed attuato un rapporto organico della BCE, mentre nessun riferimento è previsto per le banche centrali dei paesi con moneta autonoma. Infine la questione della proliferazione delle cariche di vertice nell'ambito della UE pone serie questioni per una efficace, dinamica e tempestiva politica comunitaria,già di per se alquanto farraginosa. Ma in questo momento contingente è aperta un'altra questione, che necessita di una presa di coscienza da parte dei paesi del Nord (e della Germania in particolare), che attraversano una fase di sostanziale stabilità finanziaria e di non trascurabile livello di benessere, rispetto alla situazione di forte criticità nella quale si trovano i paesi del sud Europa. I primi dovrebbero sentire l'impegno attivo, attraverso l'assunzione di opportune corresponsabilità finanziarie verso i problemi dei paesi in difficoltà finanziarie. Questi ultimi, a loro volta, dovrebbero, con impegni credibili, con il loro \ÇzA ftäxÜ|É VÉÄÄâÜt 16 comportamento virtuoso e con gli opportuni provvedimenti legislativi a sostegno di un serio piano di riforme strutturali, indicare la ferma e decisa volontà di invertire stabilmente la rotta tenuta in quest'ultimo decennio; causa prioritaria delle specifiche ed acute difficoltà in essere, connesse alle gestioni di un debito sovrano,certamente conseguenza del proprio mal governo, ma che impone oneri non compatibili con le necessità dello sviluppo. Non si tratterebbe in ogni caso di interventi( da parte dei paesi ricchi) di mera beneficenza ,ma di veri e propri interventi congiunturali, che produrrebbero effetti benefici anche sull'economia dei paesi ricchi;se si tiene conto che questi, a cominciare dalla Germania, realizzano la parte più consistente della loro attività commerciale nell'area dell'euro . La soluzione dei problemi elettorali della Germania potrebbe imprimere una spinta significativa nell'affrontare questo delicato aspetto della convivenza politica europea. A queste questioni bisogna rapidamente dare risposte e soluzioni; diversamente sarà impossibile prefigurare percorsi intermedi, certi e validi per il conseguimento dell'obiettivo dell'Unione Federale. L'euro: La moneta unica. L'introduzione della moneta unica è stato il passo più importante nel percorso di costruzione dell'unione europea. A distanza di oltre un decennio, si può benissimo convenire che il progetto è stato coronato da pieno successo, considerando nel complesso gli effetti tecnici conseguiti; l'euro si è affermato come moneta "forte" , sempre più impiegata nelle transazioni commerciali internazionali, in precedenza quasi dominio esclusivo del dollaro Usa. Ha migliorato in modo consistente il valore iniziale di cambio con il dollaro Usa (da 0,88 del 1/1/2002 ,ad 1,32 del 31/8/2013); ed ha realizzato, nell'ultimo anno, robuste rivalutazioni rispetto a tutte le principali valute: +26% sullo yen, +20,5% sul dollaro australiano , + 10% sulla sterlina, +7% sul dollaro Usa, +2,6% sul franco svizzero. Ed ancora,ai paesi utilizzatori, l'euro ha consentito un decennio di inflazione controllata e contenuta, svincolando gli scambi commerciali interni dai fenomeni "inquinanti" collegati alla fluttuazione dei cambi tra le monete. Per l'Italia gli effetti specifici sono riconducibili prioritariamente ai consistenti risparmi conseguiti nelle cifre pagate per interessi sul debito sovrano, pari a qualche centinaio di miliardi di euro. O. Giannino, allargando il periodo (dal 1996 anno in cui viene definita l'opzione della moneta unica da parte dei paesi aderenti) di osservazione dell'evoluzione dei tassi di interesse, indica in circa 700 miliardi di euro questo beneficio. Tale ammontare, che potrebbe apparire eccessivo, ha trovato riscontro in altri studi; ma anche volendo ridurre drasticamente al 50% la portata del vantaggio,esso resterebbe comunque molto consistente (almeno 350 miliardi di euro). Un dato è sicuramente certo, nel primo triennio successivo all'inizio della circolazione dell'euro (2002-2004), lo spread BTP-Bund era praticamente azzerato, senza che fosse intervenuta nessuna sostanziale variazione nei "fondamentali" economici dei due paesi. Alla luce di questi dati,la prima considerazione da svolgere è che una classe politica inetta e sperperatrice (quella italiana)ha dilapidato, consentendo un'incredibile crescita di spesa corrente, un tesoretto derivato dall'euro; risorse queste che avrebbe dovuto essere impiegate per ammodernare l'Italia in tutti gli aspetti essenziali per la crescita e lo \ÇzA ftäxÜ|É VÉÄÄâÜt 17 sviluppo: l'industria, la ricerca, le infrastrutture, la formazione, la tutela del territorio e dell'ambiente, del patrimonio culturale ed archeologico. Poco o nulla è stato fatto in quelle direzioni. Certo la moneta unica ci ha impedito di utilizzare la leva della svalutazione, di cui l'Italia aveva fatto uso ed abuso dagli anni 70 in poi; ma questa limitazione valeva anche per i paesi con i quali realizzavamo la quota più consistente dei nostri scambi commerciali (Francia, Germania, Spagna, ecc.); mentre per le transazioni all'esterno dell'area dell'euro agivano le condizioni di stabilità monetaria con gli Stati prima indicati,ma ora nella veste di concorrenti. La seconda considerazione da fare e che gli altri paesi si erano attrezzati per operare in una situazione di cambi fissi, mentre l'Italia, come abbiamo già detto, non realizza quasi mai gli interventi essenziali per predisporre le proprie attività alle innovazioni complessive che lei stessa aveva propugnato e sostenuto. In sostanza abbiamo sperperato i benefici conseguenti ai minori tassi di interesse, non abbiamo colto i benefici dell'operare in una situazione di cambi stabili, ma abbiamo subito le conseguenze di non poter utilizzare la leva della svalutazione: ci sono tutti gli elementi per denunciare l'inettitudine di un'intera classe politica, senza distinzione di schieramenti. D'altra parte, però, senza la partecipazione immediata alla moneta unica, l'Italia, con la sua lira, sarebbe stata una zattera in balia della tempesta dei mercati finanziari; e nessuna svalutazione sarebbe mai stata sufficientemente ampia, senza peraltro tener conto degli effetti inflattivi sui redditi dei cittadini italiani, a compensare i risvolti negativi dell'aumento dei tassi d'interesse sul debito sovrano, e sull'acquisto delle materie prime ed energetiche. La crisi finanziaria del 2007 e le ricadute sull'economia reale hanno creato le condizioni di recessione del paese che abbiamo già più volte analizzato. Una corrente di opinione pubblica, tra cui anche qualche repubblicano, ritenne di dover attribuire all'euro grandi responsabilità per i nostri gravi disagi; perché non solo ci impediva di effettuare svalutazioni,ma anche perchè attraverso il patto di stabilità liberamente concordato in ambito U E non ci consentiva di attivare "manovre espansive" con l'aumento della spesa, nonché di impegnare la BCE ad acquistare i nostri titoli del debito pubblico , a tassi contenuti. Il tutto forse ignorando che l'Italia si trovava in quella situazione proprio per eccesso di spesa pubblica; che i trattati comunitari impedivano alla BCE di acquistare sul mercato primario titoli dei paesi membri,e che comunque tale operazione avrebbe richiesto l'apporto di capitali da parte degli azionisti della banca stessa(non potendo la BCE aumentare "liberamente" la base monetaria); come poi è avvenuto con i due fondi salva Stati, e quindi con il travaso di risorse e di ricchezza da alcuni paesi ad altri dell'area euro. Ciò non di meno, la BCE, già nel 2011-2012, ha realizzato consistenti interventi in favore dell'Italia (circa 200 miliardi di euro), con l'acquisto sul mercato secondario di titoli del debito pubblico italiano con scadenza non superiore a tre anni, tuttora presenti nell'attivo patrimoniale della banca centrale. Questi interventi, uniti all'azione del governo dei tecnici, hanno consentito la stabilizzazione dello spread BTP-Bund sul valore attuale di 250 punti. Un ulteriore margine è ancora possibile sino ai 200 punti di differenza; tale infatti è il valore reale del differenziale tra le economie dell'Italia e della Germania, secondo le indicazioni della \ÇzA ftäxÜ|É VÉÄÄâÜt 18 Banca d'Italia. Allora possiamo concludere che l'euro ha fatto la sua parte, la classe politica no; l'obbligo di fare i compiti a casa, più volte richiamato dal senatore Monti, discende dalla necessità di impedire che la catastrofe dell'Italia potesse trascinare con sé l'euro e quindi l'unione europea. Il Progetto: come rinnovare il Pri, come governare l'Italia. Il movimento repubblicano, nel corso della sua azione politica più che bicentenaria, ha vissuto più volte il dilemma di come ridefinire la propria "mission", trovando sempre la giusta risposta al quesito di come definirsi, di come trasformarsi, di come caratterizzarsi. La risposta, di volta in volta individuata, si fondava sempre su due capisaldi: la conferma delle proprie idealità, e della propria cultura politica; la necessità di porsi al servizio, e non servirsi, delle istituzioni repubblicane, affinché si affermassero attraverso l'efficacia delle istituzioni i diritti e le libertà dell'uomo; nella piena consapevolezza che non ci potesse essere democrazia compiuta svincolata dall'etica dei doveri. Il nostro prossimo congresso nazionale rappresenta proprio uno di quei momenti, di quei passaggi nei quali bisogna sapere indicare sia la strada, che le condizioni per caratterizzare l'impegno politico; nonché i termini, gli obiettivi e gli strumenti per un'efficace governo dell'Italia. Certo le condizioni attuali di partenza non sono le migliori; ma come soleva dire Giovanni Spadolini se i momenti politici che stiamo attraversando fossero "di ordinaria amministrazione", non ci sarebbe bisogno del partito repubblicano. Pur consci delle difficoltà, da qualcuno addirittura ritenute insormontabili (ma non dai veri repubblicani ), riteniamo che ancora una volta vada profuso tutto l'impegno possibile ed immaginabile per portare a compimento l'opera: come rinnovare il Pri, come governare l'Italia. I nuovi impegni le nuove mete del movimento repubblicano. Nell'affrontare questa tematica, va riaffermato con forza in via propedeutica che noi non intendiamo abbandonare o peggio espellere dalla nostra prospettiva tutto il costante impegno e la caratterizzazione nell'azione operativa del partito. Anzi ne riaffermiamo e ne rivendichiamo tutta intera la peculiarità delle idealità, della cultura e della tradizione politica. Si tratta, in sostanza, di plasmare una più incisiva e proficua struttura dell'organismo politico attraverso il quale veicolare e prospettare le indicazioni, le proposte della nostra azione politica, che peraltro affondano le radici nel pensiero di Mazzini e di Cattaneo; per riuscire così con più immediatezza a "trasdurre" in concreti indirizzi ed in linee operative convincenti ed attuali la cogente visione della società, della democrazia, dei diritti e dei doveri. Non si tratta perciò di attuare una cesura, ma, secondo il pensiero e l'operato di Arcangelo Ghisleri, di prospettare un "lucido rinnovamento del pensiero repubblicano"; e nella scia di Ugo La Malfa di innovare l'operatività e l'immagine del partito, in sintonia con le nuove esigenze, le nuove visioni , e i nuovi linguaggi della società postindustriale, che nella sua comunicazione egli esplicita e sintetizza nel messaggio "L'altra Sinistra" ; e che noi oggi potremmo indicare con "La Rivoluzione Repubblicana, Liberal-democratica". Ma dobbiamo anche rivalorizzare ed attualizzare i connotati originali di quel movimento organizzato che nel periodo tra il 1831-1833,partendo dalla Giovine Italia, diede vita ad una struttura operativa di straordinaria modernità per quel periodo, che prefigurava i connotati del moderno partito politico. Non a caso gli aspetti più salienti e caratterizzanti di quella organizzazione politica venivano chiaramente indicati in quattro punti: -l'adesione doveva avvenire con pagamento di quote associative; \ÇzA ftäxÜ|É VÉÄÄâÜt 19 -l'azione politica doveva essere esplicata attraverso l'elaborazione di un programma pubblico; -la vita associativa doveva svolgersi secondo i principi del confronto, della democrazia interna, della rappresentati vita'; -la comune convivenza si doveva realizzare sul principio della disciplina di partito. Ma dobbiamo anche auspicare e sollecitare un'adesione piena e concreta di tutti i partiti nazionali ai principi ispiratori inseriti nella carta costituzionale italiana, con riferimento al ruolo, la funzione, la competenza degli stessi. La regolamentazione formale e giuridica dei partiti è la premessa e la cornice nella quale devono essere collocati poi i rispettivi statuti, e le conseguenti modalità esplicative dell'azione associativa. L'azione di rinnovamento del Pri, al di là dell'attuazione legislativa dei principi costituzionali, deve ispirarsi completamente a tutte le linee guida prima indicate. In particolare, i quattro punti definiti nel lontano 1831-1833 devono rappresentare compiutamente ed efficacemente i principi ispiratori dell'organizzazione e dell'azione del rinnovato partito repubblicano. Si tratta di renderli attuali, vivi e nitidi attraverso la puntuale formulazione di norme operative e comportamenti che enfatizzino al massimo i nobili principi che sottintendono. Conseguentemente l'adesione al partito deve sì comportare l'impegno imprescindibile a contribuire al finanziamento della vita e dell'attività (e questo sembrerebbe anche ora scontato) con il versamento delle quote annuali; ma ciò non appare esaustivo. Bisogna anche studiare l'opzione di prevedere la figura dell'assemblea dei soci finanziatori, che impegnandosi (in aggiunta alla quota annuale) con un vincolo solido a sostenerne in modo significativo i costi di funzionamento, assumano la figura di "azionisti finanziari" (senza prerogative politiche), che hanno il compito di nominare l'amministratore del partito; di controllare la gestione secondo le modalità da definire; di predisporre , sulla base del programma politico ed operativo formulato dal consiglio nazionale, il budget previsionale di spesa per l'anno sociale; di formulare il parere di congruità e di copertura di spese non previste ed aggiuntive rispetto al budget; di predisporre la relazione da allegare al bilancio consuntivo annuale elaborato dall'amministratore; di revocare, se del caso, l'amministratore in carica. Si creerebbe, così facendo, una maggiore garanzia di trasparenza,e di rigore finanziario ed amministrativo. L'obbligatorietà poi del programma pubblico comporterebbe la necessità di caratterizzare l'azione del partito non solo (e forse non tanto) sulla figura quasi carismatica del leader, ma essenzialmente sulla chiarezza degli obiettivi, dei contenuti, delle priorità programmatiche ; consentendo una (per noi) radicale trasformazione da partito del leader (a tutti i livelli, non solo quello nazionale) a partito del progetto. Ciò, per essere coerenti sino in fondo, necessiterebbe di una norma che ponesse dei limiti temporali (assolutamente invalicabili, non derogabili e senza esclusioni) negli incarichi politici ed istituzionali. Le modalità di svolgimento della vita associativa diventano un punto nodale sia per la funzionalità,che per la garanzia di pacifica coesistenza nel partito, tra componenti che si sono confrontati su progetti alternativi. È per questo che vanno definiti strumenti operativi ed organizzativi, più incisivi rispetto a quelli vigenti, di tutela delle eventuali minoranze; le quali dovrebbero, in qualunque momento e situazione, poter verificare che l'azione operativa (non politica) della maggioranza non sia finalizzata a penalizzare la \ÇzA ftäxÜ|É VÉÄÄâÜt 20 minoranza. Ciò vale anche per l'utilizzo delle risorse e delle strutture di informazione del partito. In sintesi il tutto si riassume nell'opportunità di prevedere "La carta dei diritti e della tutela della minoranza". Se diventa reale, concreta ed efficace la nuova filosofia dei rapporti interni, allora ne consegue che sarà anche possibile una rigorosa e tempestiva applicazione del principio essenziale della disciplina interna del partito; con tutto ciò che ne consegue. Ma questi aspetti sono al momento sufficientemente definiti ed applicati; ciò non esclude che possano essere ulteriormente aggiornati e meglio formulati nella tempistica, e nelle modalità di applicazione. La Costituente Repubblicana, Liberal-democratica. Dobbiamo perseguire un profondo e radicale ripensamento dello strumento partito per rendere così più credibile e più efficace l'azione politica, e per aprire la cultura politica repubblicana alle persone; per sollecitare l'impegnativo dei cittadini in politica, e per instaurare un nuovo rapporto fiduciario tra gli elettori italiani ed il Pri. Abbiamo ritenuto che lo strumento più idoneo per conseguire questo obiettivo potesse essere "La Costituente Repubblicana, Liberal-democratica"; abbiamo, nell'ultimo anno in particolare, profuso un fiume d'inchiostro e di parole, in scritti e dibattiti; ma ancora oggi sorge spontanea la domanda se il corpo del partito ha metabolizzato compiutamente questo impegno. Osservando con una certa attenzione il dibattito che si sviluppa nelle situazioni e nelle sedi più diverse e più spontanee, si evince un livello di coinvolgimento, rispetto all'ipotesi della costituente, molto variegato ed articolato; quasi sempre, comunque,o caratterizzato da un interesse, permeato però dal desiderio di conoscenza più profonda; oppure da un dubbio sottinteso, non riuscendo a focalizzare compiutamente il rapporto, la relazione tra partito e costituente. Certamente questa è una questione non secondaria, anche se può trovare la risposta proprio nel comprendere che la costituente non è il Pri, ma il Pri è parte essenziale della stessa; perché è attraverso la costituente che deve essere attivato il percorso finalizzato alla prospettazione elettorale del progetto di governo dell'Italia. Pertanto è giunto il momento, non più procrastinabile, che si pervenga ad una decisione definita; ed il congresso è la sede per sciogliere dubbi e nodi irrisolti, consentendo così che l'assise repubblicana diventi in effetti l'avvio di questo impegno. Se è valida, come sembra, l'analisi della crisi del nostro bipolarismo in essere, allora diventa consequenziale la necessità di collegare il progetto politico-programmatico ad una proposta elettorale: questo è il senso della costituente. Diversamente,come dicevamo, tocca al congresso il compito di individuare una ulteriore indicazione elettorale, che abbia però la stessa ampiezza di messaggio, e le stesse potenzialità. Altrimenti non resta che la vecchia strada della ricerca di accoglienza, incomprensibile stante l'attuale bipolarismo, e problematica visti i danni e le macerie prodotte al Pri. Fare crescere il Paese, superare l'emergenza. L'Italia sta vivendo in quest'ultimi 18 mesi una fase di forte e più accentuato sconforto; ha pienamente la percezione dei pericoli che incombono non solo sulla generazione attuale, ma anche su quelle future. Da ciò la forte preoccupazione delle famiglie , e quindi la continua riduzione dei consumi privati, che nel 2013 potrebbero contrarsi di un ulteriore 1,5%. Il sistema produttivo, parallelamente, sconta direttamente questa significativa flessione dei consumi delle famiglie, e conseguentemente deve ridurre gli investimenti, la cui portata nell'anno in corso potrebbe attestarsi a circa il -2,0%; eppure \ÇzA ftäxÜ|É VÉÄÄâÜt 21 le aziende più efficienti hanno sostanzialmente concluso un consistente piano di ristrutturazione, e la cosa è evidenziata dal buon andamento delle esportazioni, che da sole però sono del tutto insufficienti a produrre un efficace ripresa complessiva. E ciò nonostante , ancora nel 2013 il CLUP crescerà di un ulteriore 1,5%. D'altra parte la terapia di risanamento dei conti e della finanza pubblica ha prodotto gli effetti possibili: ha bloccato la pericolosa deriva degli anni 2010 - 2011, ma i risultati complessivi non sono ancora tali da ritenere del tutto compiuto il raggiungimento del pareggio strutturale del bilancio pubblico; e tanto meno la stabilizzazione dei parametri economici e finanziari fissati con l'accordo sul Fiscal- Compact. Manca, infatti, all'appello la crescita del paese, il cui apporto è essenziale, sia nell'ottica della finanza pubblica,che in quella dell'occupazione. Su questa priorità assoluta per l'Italia, cioè la crescita, il Pri ha concentrato il suo approfondimento politico-programmatico, indicando, nel progetto per un governo repubblicano, liberal-democratico, gli elementi caratteristici di un adeguato ,rigoroso, credibile e sostenibile piano strutturale di rivitalizzazione e rilancio dell'economia del sistema Italia. Abbiamo indicato gli obiettivi da raggiungere, e gli strumenti da utilizzare. Non pensiamo sia utile, ora qui, ripetere tutte quelle dettagliate indicazioni. E invece essenziale in questa fase di grave crisi acuta porre l'accento sulla necessità di indicare al paese un complesso di interventi, certamente in linea ed in perfetta sintonia col progetto strategico, in grado di imprimere una svolta repentina e consistente al problema dei consumi, e quindi al rilancio dell'offerta. Un intervento straordinario del genere potrebbe produrre l'effetto di imprimere una svolta positiva al sistema produttivo del Nord, e nel contempo di disporre di risorse finanziarie necessarie per impedire il tracollo per eccesso di austerità del Sud. Bisogna in sostanza attivare un pacchetto congiunturale di interventi, caratterizzati da una "filosofia" diversa, anche se non contrapposta rispetto alle linee strategiche di medio lungo periodo; questi ultimi,infatti, devono caratterizzarsi per una più definita e costante integrazione strutturale tra vari fattori, quali compatibilità finanziarie e mercato, rigido rispetto del pareggio di bilancio, incisivo rientro del debito pubblico. L'intervento congiunturale ipotizzato dovrà certamente svolgersi nella cornice strategica, ma potrà comportare transitorie situazioni di non perfetto allineamento con il patto di stabilità del 2013. La durata temporale di questa finestra dovrebbe essere di circa tre anni; l'ordine di grandezza delle risorse finanziarie complessive da mobilitare dovrebbe attestarsi intorno ai 30 miliardi di euro (circa due punti di PIL), da finalizzare alla riduzione del cuneo fiscale, in favore delle aziende e dei lavoratori dipendenti, nonché per ridurre il peso delle imposte sui pensionati e dipendenti pubblici (cifra complessiva 15 miliardi); ad un piano straordinario di interventi per la tutela del suolo, del patrimonio scolastico, delle risorse idriche e dell'emergenza nel settore dei beni archeologici e culturali (5 miliardi); ad un piano di accelerazione degli interventi infrastrutturali con riferimento tanto agli impianti fissi che non (hardware e software). La copertura finanziaria dovrebbe avvenire attraverso una più accentuata e consistente lotta all'evasione fiscale, per recuperare nel triennio almeno 10 miliardi aggiuntivi; attraverso il blocco della spesa corrente al livello del 31/12/2013, con l'eliminazione conseguente degli incrementi di spesa corrente già previsti dal DEF 2013 per il triennio 2014-2016. La \ÇzA ftäxÜ|É VÉÄÄâÜt 22 restante parte di risorse finanziarie necessarie dovrebbe incidere sul deficit di bilancio; comportando con ciò effetti negativi, destinati però ad essere riassorbiti per effetto della connessa crescita del Pil e della base occupazionale. Si dovrebbe,in sintesi, ottenere un duplice effetto in conseguenza dell'aumento del valore corrente del Pil: maggiori entrate fiscali a partire già dal secondo anno (da destinare a riduzione del debito), aumento del denominatore impiegato nel calcolo dei coefficienti di Maastricht. Il piano straordinario di interventi risulterà efficace ed applicabile se tale verrà considerato dai mercati finanziari internazionali, dalla BCE, dall'Unione Europea. I primi due soggetti incidono direttamente ed immediatamente sul livello dei tassi di interesse per il finanziamento della quota di debito sovrano in scadenza, il terzo sulla autorizzazione a sforare i vincoli previsti dal patto di stabilità. D'altra parte questa è stata la strada utilizzate dalla Germania dopo il 2009;la felice riuscita dell'operazione sta a significare che la credibilità del governo tedesco dell'epoca ha fornito implicitamente ed esplicitamente le opportune garanzie di efficacia e rispetto delle condizioni complessive. Ritorna quindi il problema dell'affidabilità del sistema politico italiano. Questa volta però non si tratterebbe di fare digerire ricette di rigore finanziario agli italiani (da qui la scelta dei vari governi, sotto forme diverse, delle ampie intese), che al momento potremmo ritenere non incombenti; bensì di far accettare a soggetti molto più attrezzati, più esigenti, e più attenti a cogliere con immediatezza l'evoluzione, o l'involuzione degli eventi dell'Italia ( e di comportarsi conseguentemente)la temporaneità degli sforamenti e la credibilità del piano strategico e la sua applicazione, dopo la parentesi congiunturale. Tutto ciò pone in primis il problema delle potenzialità e delle prospettive del governo in carica. Stante l'attuale situazione di equilibrio politico in stato di perenne fibrillazione, sorge spontaneo il quesito se possa essere l'esecutivo guidato dal premier Letta il garante politico ed istituzionale presso i soggetti che dispongono del potere di consentire o meno la realizzazione degli interventi ipotizzati. È difficile dare una risposta, anche se sembrerebbe più indirizzata verso il negativo. Questo il vero nodo da sciogliere per pensare concretamente al piano di emergenza. La conclusione. Questo lavoro, limitato e quindi non esaustivo, non può e non vuole avere il significato di un progetto compiuto; compito questo proprio del congresso. Inoltre non è la relazione politica di un segretario nazionale, che tradizionalmente inquadra ed incanala i lavori del congresso, ma vuole essere un contributo al confronto, al dibattito, all' approfondimento delle tematiche essenziali per il rinnovamento del partito e del sistema politico nazionale. Sarebbe quindi utile ed auspicabile che da qui al congresso arrivassero ulteriori contributi e proposte programmatiche ed operative, ad integrazione, o se del caso in contrapposizione a questo lavoro. Il successo dell'azione repubblicana, l'auspicato consenso elettorale, la riaffermazione di una sua funzione politica nel paese sono tutti obiettivi che richiedono pluralità di idee, confronto franco, anche aspro se necessario, ma rispettoso della diversità di pensiero, senza la quale tutto rischia di perdere nel tempo di incisività, di attualità e quindi di efficacia. L'obiettivo prioritario del congresso non deve essere la ricerca di un leader , certamente necessario nell'attuale contesto politico, bensì il progetto di rinnovamento del partito, il progetto di governo dell'Italia.
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